A gufi, parrucconi e conservatori, termini cari al giovane rottamatore e, nel contempo, ricostruttore di se stesso, al frasario renziano si aggiunge un altro lusinghiero sostantivo: accozzaglia! Chiunque è schierato o dovesse schierarsi per il No al prossimo referendum andrebbe a far parte di “un insieme indiscriminato e disparato, e per lo più spregevole, di persone e cose”. Del termine, accozzaglia, questa è l’esplicazione che dà la Treccani, ma non la pensano in maniera diversa Sabbatini e Coletti.
Ebbene io faccio parte dell’accozzaglia e me ne vanto nella stessa misura di come prendo le distanze da altri epiteti tipo “assassini seriali e scrofe ferite”.
Non ho intenzione di entrare nel merito delle riforme proposte perché tanti, costituzionalisti e politici, ma anche gente comune – non improvvisati verdurai o stucchevoli madonnine – hanno dato ampie ragioni sulla vuotezza, sulle contraddizioni, sulle confusioni ingenerate dalla nuova costituzione pensata dal trio delle meraviglie Renzi. Boschi e Verdini.
Aver compagni al duol non mi lusinga, ma a pochi giorni dal referendum, a giudicare dalla drammatizzazione dei toni e delle critiche che si levano da ogni dove, si è portati a credere che questa sia una riforma da repubblica delle banane in cui chi è al governo tra ghigliottine, canguri ed altre scorciatoie, ha cercato e cerca di accreditare, in nome della semplificazione e della modernizzazione, la mortificazione della democrazia e della sovranità popolare, cancellando anche e finanche conquiste che per alcune classi sociali sono costate, negli anni passati, lacrime e sangue.
Ad oggi i risultati raggiunti dal governo Renzi e company – egli stesso segretario di un partito da sempre portatore delle istanze delle classi più deboli – per grazia o sublime inciucio di napolitana memoria, non sembrano conciliare l’eterno conflitto tra classe operaia e datori di lavoro. Anzi, nel nome della flessibilità in uscita, perde efficacia l’art. 18 che tutelava il lavoratore. Ciò ha già fatto registrare un grande risultato: aumento esponenziale dei licenziamenti che potevano avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo. D’altra parte, mentre i livelli occupazionali rimangono preoccupanti, i contratti voucher – legittimazione del lavoro nero e dell’economia sommersa – volano alto; d’altra parte i lavoratori che, penalizzati pesantemente dalla legge Fornero (quella del “piagne e fotti”), volessero andare in pensione anticipatamente, garante il ragazzo di Rignano sull’Arno, possono contrarre un mutuo agevolato. Ironia della sorte restano immutati vitalizi, prebende ed appannaggi della classe politica.
Meritano un pensiero gli under 35 – 40, che, dimenticati figli di nessuno, nell’agenda Renzi non trovano collocazione alcuna.
Nella riforma della buona scuola, poi, i cavoli assumono coloritura diversa: da verdi diventano neri, attraversando tutto il ventaglio cromatico. E così è in tutti i settori economici e produttivi.
Negli ultimi venticinque anni l’ industria italiana (Fiat, Eni, Telecom insieme ad altri big) ha messo a dimora due terzi dei dipendenti, malgrado gli incentivi elargiti a piene mani anche dal governo in corso. Eppure il rottamatore, sotto mentite spoglie ricostruttore, oggi fa il gioco delle tre carte per ricucire le lacerazioni tra governo e governati, all’insegna di un cambiamento in cui il principe di Salina – di apparenza molto, di sostanza poco – rispetto a Renzi, è il più squallido dei dilettanti.
E’ proprio così: l’Italia sta sprofondando in un baratro profondo. Rettifico il concetto: c’è una Italia che galleggia ed un’altra che, da tempo ormai, va giù scivolando inesorabilmente verso la fossa delle Marianne, la più profonda tra le depressioni oceaniche.
E’ questo un disquilibrio che data nel tempo e, poiché la misura è colma, Si e No hanno pesi e valori diversi tra nord e sud, circa quindici punti di differenza. Il tronfio avanguardista l’ha capito: le sue due chances sono gli italiani all’estero e gli “italiani” sotto il Volturno. I patti di sviluppo con le regioni, i ponti sullo stretto, l’ammodernamento delle grandi vie di comunicazione, le elemosine elargite a pensionati ed indigenti, gli incentivi dati agli insegnanti ed ai diciottenni sono solo strumenti demagogici per reclutare consensi. Sarebbe bastato, invece, poco: anzi che parlare del sesso degli angeli e della revisione dell’articolo quinto della costituzione sol per assicurarsi la vita a venire, dare legalità e giustizia ad un paese martoriato dall’evasione fiscale e dalla dilagante corruzione; aprire al sociale ed al welfare, eliminando le sovrastrutture politiche seriamente e non fittiziamente, facendo ricorso al cerchiabottismo; eliminare le centinaia di enti inutili sburocratizzando l’apparato statale; equalizzare l’Italia non facendo distinzioni tra cerchio magico e figli di un dio minore; investire in formazione ed istruzione per fermare l’emigrazione giovanile.
Niente di tutto ciò, mentre l’Italia affonda nei gorghi di un declino inarrestabile. Quel che conta è rimanere in sella, anche a costo della riproposizione di un “porcellum 2”.