Transparency International, organismo che mette sotto indagine il grado di corruzione percepita dai cittadini di 176 nazioni nel mondo, a fine 2016 colloca l’Italia tra i paesi più corrotti. La relega al 60° posto, che certamente fa poco onore ad un paese tra i più industrializzati del globo. Il metodo utilizzato è quello della percezione dei cittadini, che valutano l’operato della propria classe politica e delle istituzioni.
Nell’ambito europeo fanno peggio di noi solo Grecia e Bulgaria. Ci ha sorpassato anche la Romania che, rispetto a qualche anno fa, ha fatto un gran balzo in avanti. Non sarà sfuggito a nessuno che, appena l’altro ieri, il popolo rumeno è sceso in piazza contro un provvedimento del governo, subito ritirato, che voleva accreditare un condono tombale per le malefatte di corrotti e corruttori commesse dalla cacciata di Ceausescu, anno 1989, fino ai nostri giorni.
Nel nostro Bel Paese, invece, malgrado i tormentoni di tangentopoli e calciopoli ed i palesi illeciti di politici ed imprenditori, malgrado la palpabile collusione mafia-politica si sciopera, ormai, solo per la partita del cuore o per la cessione di questo o quel calciatore: tutto il resto non è noia, ma disinteresse!
In Italia la corruzione vede in testa alla classifica la Campania, seguita da Lombardia, Sicilia, Puglia e Calabria. C’è però da fare una differenziazione: al nord imperversano le tangenti, mentre al sud il prezzo della corruzione consiste soprattutto nel voto di scambio, nei favori, oltre che nei benefici materiali. Ciò incasina non poco il vivere quotidiano, in quanto al sud, per il perenne stato di bisogno, ci si vende per poco; pertanto l’infiltrazione mafiosa nei gangli amministrativi, oltre ad avere un alto indice di gradimento, è il modo ed il mezzo più sicuro per condizionare ed orientare le scelte politiche ed amministrative degli enti locali. Non è un caso, perciò, che le amministrazioni sciolte per infiltrazione mafiosa trovino, per la maggior parte, ubicazione al di sotto del 38°/40° parallelo. Il che ci fa dire che, malgrado gli interventi normativi degli ultimi anni (la legge Severino in primis) e l’impegno profuso dall’autorità nazionale anticorruzione (leggi Cantone), la nostra cattiva reputazione continua a godere ottima salute.
In Calabria siamo ormai giunti al punto morto superiore, oltre il quale non si può più andare, e la collusione mafia-politica può essere ignorata solo dal tanto discusso art. 416 ter del c.p.!
Per il resto succede di tutto: la distrazione dei fondi europei destinati ai poveri ed agli indigenti e impiegati invece a soddisfare gli appetiti di famelici faccendieri; la disinvolta elargizione dei contributi comunitari a sostegno dell’agricoltura anche a favore di chi non ne aveva fatto richiesta; la messa in mora di Oliverio ai consiglieri (36 indagati) della passata legislatura di restituire quanto indebitamente percepito come (folle) rimborso spese; la disastrata gestione di Calabria Etica e l’insignificante presenza di Calabresi nel mondo, rivelatisi alla fin fine enti di inutile sperpero, ma di grande appetibilità per congiunti, affini e collaterali. L’elenco potrebbe continuare, ma sarebbe un inutile refrain di illeciti, di interessi personali camuffati da mistico, umanitario afflato.
Beh, l’aria che si respira al di sotto del 38° parallelo è irrespirabile: la ”questione morale” calabrese, estensibile all’intera penisola, deve essere affrontata seriamente, non solo verbalmente.
“Basta con le chiacchiere – diceva giorni fa il presidente emerito della suprema Corte di Cassazione, giudice Romano De Grazia, da noi sentito – se il Presidente Mattarella all’Unical di Cosenza non affronta il problema delle collusioni mafia-politica e voto di scambio vuol dire che la sua presenza sarà stata inutile. E ciò perché la collusione mafia-politica è il principale problema della Calabria e causa del suo degrado socio economico e culturale. È la ragione fondamentale perché i nostri giovani vanno fuori per realizzare il diritto allo studio e al lavoro. È la ragione per la quale i giovani dai 18 ai 24 anni hanno votato NO al referendum. Se non si affronta questo problema l’Istituzione non è credibile, non facendosi, i giovani, più ingannare da sermoni e chiacchiere. Ricordiamo al Presidente della Repubblica che in relazione all’esercizio del potere legislativo egli può mandare messaggi motivati al Parlamento in virtù del secondo comma dell’art. 87 della Costituzione Repubblicana. Tacere non è più consentito”.
Il giudice De Grazia, poi, sostiene che la lotta alla mafia ed alle sue collusioni con la politica è un modo funzionale e concreto per onorare la memoria di tutti coloro che sono morti per mano mafiosa. “Anche per onorare la memoria di Piersanti Mattarella” – egli aggiunge – “affronti il problema, egregio Presidente, della legge Lazzati, unico strumento concreto che impedisce a boss ed affiliati di raccogliere voti in occasione delle competizioni elettorali. Altri strumenti ed impegni sono soltanto chiacchere. Diffidi, egregio Presidente, dei numerosi leccaculi (della stampa) che oggi Le staranno attorno”.
E invece è successo tutto il contrario, con la solita perfetta regia, come da copione: in prima fila ed in grande visibilità i politicanti autori dello sfascio della Calabria e del Paese, responsabili di quello che è stato promesso e non è stato mai fatto ed in ultima fila uno sparuto gruppo di studenti invitati a numero chiuso. In conclusione, il Presidente Mattarella all’Unical di Cosenza, sembra avere inaugurato l’anno accademico per i politici falliti e non per gli studenti, nel plauso e nella soddisfazione generale dell’establishment. Certo non era la sede adatta, per cui ha parlato di tutto e di più, ignorando completamente la questione morale calabrese, la collusione mafia-politica ed il voto di scambio.
“Dalla cultura, da cui deriva – egli ha affermato – non soltanto la spinta ma la capacità per impegnarsi nella vita sociale, deriva anche una grande concezione rigorosa di legalità e anche la possibilità di immaginare, progettare, suggerire indicazioni anche generali di comportamento alle istituzioni”.
Parole pregne di significato alle quali han fatto seguito i buoni propositi di Oliverio ed i soliti lamenti sulla sistematica disinformazione della stampa, che ripropone immagini distorte e negative della realtà calabrese “spesso frutto di scarsa conoscenza della nostra realtà o, ancor peggio, di antichi pregiudizi”.
Presidente Oliverio, è ora di smetterla con le frasi trite e ritrite di un copione vintage e, soprattutto, con il veicolare un’immagine fatta di sole e di mare, quando la realtà è quella descritta da Domenico Tulino, presidente del consiglio degli studenti di Unical e da Paola Dodaro, rappresentante del personale tecnico ed amministrativo, che hanno messo a fuoco il dramma dell’abbandono scolastico, della fuga dei cervelli e della disoccupazione giovanile.
Non so se sia stato colto il significato di rigorosa legalità di cui ha parlato en passant il Presidente Mattarella, ma di una cosa ho la certezza: gli “spettacoli” sono fine a se stessi! Calato il sipario, restiamo noi, i calabresi, con il nostro mare, con il nostro sole, con il nostro…niente!