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Non è tutto oro quel che luccica Locri: la Giornata della Memoria

Chapeau ! Mi tolgo il cappello difronte a tutti coloro che hanno perso la vita nella lotta alla mafia, siano essi forze dell’ordine o gente comune, siano essi magistrati o uomini politici!
Ma lo rimetterei al sol pensiero di coloro che cavalcano la tigre dell’antimafia ricorrendo a parate e sceneggiate degne del miglior Merola e di quegli improvvisati ciarlatani, massimi interpreti della retorica antimafiosa.
Si, l’ultima “celebrazione”, quella del 21 marzo a Locri, promossa da Libera ed Avviso Pubblico, supportata da Rai informazione sociale e da qualche rappresentante del clero, è stata davvero imponente.
Presenti il vescovo di Locri, mons. Oliva, don Ennio Stamile, coodinatore regionale di Libera, politici e blasonati e, dulcis in fundo, don Pio Luigi Ciotti, il presbitero più attivo di Italia nella lotta alla mafia. Egli annovera, tra l’altro, anche la carica di presidente di Lila nella lotta contro l’Aids e quella di cavaliere di gran croce dell’ordine al merito della Repubblica Italiana, ma è anche punto di riferimento per oltre 1600 realtà nazionali ed internazionali.
La cerimonia ha toccato il cuore di tutti coloro che ben conoscono il “viatico ciottiano”, più umano che divino in verità, cioè “quello di spendere la vita a saldare la terra con il cielo”.
A Locri, “luoghi di speranza e testimoni di bellezza”, il miracolo è avvenuto; terra e cielo si sono saldati: venticinquemila persone in corteo – tanti trasportati in circa cento pulman – e 4000 luoghi in tutta Italia hanno celebrato la XXII giornata della memoria in ricordo delle vittime della mafia, condivisa anche dalle associazioni messicane, argentine e colombiane.
Una regia perfetta che proprio per la sua perfezione desta più di una perplessità: il copione, in quella atmosfera surreale, permeata di mestizia e rabbia, di commozione e condivisione, non prevedeva voci discordi o altri elementi di turbativa che potessero rompere l’incantesimo celebrativo.
E così, complici i media, quelli che contano, nessuno ha saputo quanto accaduto a Locri la notte del 16 marzo, durante la quale sui muri cittadini sono stati affissi manifesti riportanti una lettera non offensiva, ma nemmeno lusinghiera per don Ciotti.

Non si tratta di uno scritto anonimo, perché firmato da Pietro Schirripa, ex presidente della cooperativa fondata da mons. Bregantini e dall’ex prete Natale Bianchi. Il manifesto è stato rimosso immediatamente dalle forze dell’ordine, ma non prima che gli operatori di Telemia, emittente del luogo, riuscissero a riprenderlo ed a diffonderlo urbi et orbi.
Eccone un passo: “… non vogliamo parlare di noi e di quanto ci sia costata, materialmente e nella nostra onorabilità, la persecuzione che abbiamo subito da parte dell’Antimafia. Vorremmo parlare di te.
Noi ti accusiamo – scrivono gli autori – fraternamente di aver sbagliato legittimando la persecuzione giudiziaria ed istituzionale subita dalle nostre cooperative antimafia negli ultimi 10 anni (quelle che ora tornano in auge). Ti accusiamo di aver contribuito a distorcere le originarie finalità di promozione e di inclusione sociale, attraverso la riconquista della dignità con il lavoro”.
Non conosco la vicenda, ma da quanto ho letto, ho arguito che l’assegnazione e la gestione delle cooperative sociali, proprio a Locri, ha avuto una vita travagliata e non ha ubbidito, probabilmente, alla regole imposte da trasparenza e legalità.
Ma non finisce qui: la notte precedente il giorno della Memoria, sui muri cittadini sono apparse quelle scritte contro il prete simbolo della lotta alla mafia “Don Ciotti sbirro”, che tutte le emittenti di Stato e private, hanno messo in evidenza.
Parrebbe che i notturni decoratori a capo scoperto, siano stati ripresi dalle telecamere di sorveglianza del duomo locrese. Sono, pertanto, in corso indagini per identificare gli autori che, a dire degli inquirenti, “non sono mafiosi, ma forse ne subiscono il fascino”.
Non classificatemi come malpensante, ma sono convinto che gli autori non saranno mai identificati per ragioni di opportunismo politico: cadrebbe, infatti, tutto il castello costruito sullo slogan “oggi a Locri siamo tutti sbirri”, leitmotiv di tutta la manifestazione!
Immaginate per un attimo se dovesse venir fuori che gli anonimi decoratori dei muri cittadini non erano mafiosi, ma poveri disgraziati disoccupati che hanno inteso protestare mettendo per iscritto “più lavoro meno sbirri”. Del resto mi torna un pò difficile pensare al mafioso che alla vigilia di una manifestazione
così imponente, con il servizio di sicurezza predisposto ed allertato per la presenza delle importanti cariche dello Stato, vada di notte a scrivere tazebao sui muri del vescovato.
Certo ci resterebbe male prima di tutti il presidente del Senato Pietro Grasso dopo le sue enfatiche affermazioni su Libera e don Ciotti, lui che ha sempre tenuto in grande considerazione le gerbere gialle, le fiaccolate e le passeggiate in gruppo. Ci resterebbe male anche il nostro presbitero che, a saperlo prima, magari avrebbe potuto fare qualcosa per aiutare quei disgraziati improvvisati grafomani murali.
Sono incidenti di percorso presidente Grasso, come quelli di gettare fumo negli occhi di noi altri tentando di farci credere che la mafia si combatte con la retorica di circostanza, con le processioni e con … quell’inutile 416 ter del codice penale, asinamente rimodulato con il risultato di averne peggiorato l’applicazione.
Importante è salvare la faccia, poi si dia ancora spazio al voto di scambio, alla collusione mafia – politica, alla corruzione dilagante, magari lasciando cuocere nel brodo la pressante richiesta di moralità che proviene dagli italiani.
Si vada avanti, invece, con i “salva Minzolini” pagina nera della democrazia italiana e perla della dissennatezza dei nostri senatori. Ed aggiungo qualcosa in più: se si dovesse arrivare all’identificazione dei grafomani locresi, probabili disgraziati in cerca di lavoro non mafiosi facenti funzione, la sanzione deve essere dura e pesante: per esempio, dopo aver pulito a fondo tutti i muri della Locride, farei loro anche lucidare mobili e suppellettili del duomo cittadino, non foss’altro per avvalorare quell’antico motto che vuole non sia oro tutto quel che luccica.