Prima parte …
Non c’è storia che regga: dopo quanto avvenuto la S. A. Cal, deve cambiare nome. Quello più adatto all’ immagine che oggi la società aeroportuale calabrese ha dato di sé, è quella di un suq, parola con la quale i nostri dirimpettai nord africani indicano un luogo organizzato in arti e corporazioni, deputato allo scambio delle merci. C’è dubbio? Assolutamente no, forse qualche impercettibile differenza: invece di beni di consumo… loschi intrighi, affari e favori; invece di corporazioni e mestieri… “aggregazione” finalizzata al consolidamento della gestione del potere per meglio suggere pappa reale.
La vicenda ha scosso, e non poco, i lametini che, pur avvezzi alla gestione clientelare del potere, sono rimasti sbalorditi difronte all’uso spregiudicato che ne ha fatto la nostra classe politica. E’ inutile, oggi, ricorrere alle dimissioni che han tutto il sapore della vigliaccheria; esse non costituiscono un atto di dolore e pentimento, bensì una chiamata di “correità” per chi quelle nomine ha avallato e per chi ha trasformato in mercato delle vacche quella che sarebbe dovuta essere un’esemplare gestione del welfare.
Né, tantomeno, si possono chiamare fuori i rappresentanti della parte privata del pacchetto azionario, perché con la loro accondiscendenza, hanno sacramentato, forse in cambio delle briciole di un lauto pasto, il modus operandi di quel potere la cui gestione è stata oggi messa sotto inchiesta.
Degli scempi avvenuti sì, sono responsabili i Colosimo, i Mancuso ed i Michienzi, primi attori in questa tragicommedia animata dal gossip, ma in ugual misura lo sono anche i manutengoli e i prosseneti, quelli senza arte né parte che per tutta la vita hanno “campato” di politica vendendo aria fritta.
Del resto Sacal non è che l’ultimo tormentone di una lunga serie di gestioni allegre e disinvolte delle fondazioni in house, enti inutili tenuti in vita solo per dare prebende ed appannaggi ad amici, parenti, conoscenti e trombati della politica nonché per consolidare ed incrementare il proprio potenziale elettorale.
Nella fattispecie malcostume ed allegra amministrazione della società aeroportuale – oggi ascrivibili al team gestionale “attenzionato” dagli organi inquirenti – trovano origine nella notte dei tempi e nel modus operandi di politici senza scrupoli che in passato, pervasi da sindrome delirante di onnipotenza, hanno fatto il bello ed il cattivo tempo in tema di appalti, assunzioni e gestione clientelare di fondi.
Lo hanno ben capito i lametini che ormai in gran parte guardano alla politica con distacco mentre, in numero minore aspettano di essere toccati dalla ruota della fortuna convinti che, a lungo andare, raccomandazioni e nepotismo supportati dall’immancabile voto di scambio, ripagheranno alla grande i tempi lunghi dell’attesa.
Intanto c’è stato chi ha protestato affiggendo, la mattina di Pasqua, nei punti strategici della città enormi tazebao che non erano proprio espressioni di apprezzamento né per mons. Cantafora, vescovo lametino, né per il sindaco Mascaro e, tanto meno, per il rappresentante del comune in Sacal, Emanuele Ionà. I tazebao, però, non hanno avuto vita lunga in quanto – non ci è dato sapere – sono stati subito rimossi dalle forze dell’ordine o dalla polizia municipale, secondo un clichet molto in uso nelle “ democrature” latino – americane.
E fa specie sentire i commenti dei lavoratori, intercettati dagli organi inquirenti, commentare tra loro le fughe di Colosimo e della Michienzi : stasera chissà in che cena…in quale ristorante di lusso…te lo dico io. E la memoria va indietro, fino alla precedente gestione: succedeva anche all’ epoca (altra intercettazione) del presidente Speziali.
O tempora, o mores , avrebbe commentato Cicerone!
Il cda dell’aeroporto lametino, comunque – azzerato dalla Procura della Repubblica – è in scadenza per la fine del mese in corso. Rinnovarlo, per Oliverio e compagni, è una bella gatta da pelare, prima di tutto perché per effetto della legge Madia i consigli di amministrazione non possono contare più di cinque consiglieri contro gli otto del passato. Vengono meno, pertanto, tre ambite poltrone.
(continua)