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Calabria…amara Coniugazione di sacro e di profano

Questa frase è di Anna Magnani. Se avessi avuto la sua profondità di pensiero, il suo pragmatismo e la capacità di discernimento mi sarei accorto prima di quanto benevolo sia stato Leonida Repaci quando scrisse che nel giorno della creazione della Calabria il buon Dio “teso in un maschio vigore creativo, promise a se stesso di farne un capolavoro”. Invero galeotta fu la fatica per nostro Signore, perchè Egli preso dalla sonnolenza, quello che aveva in mente per la Calabria finì, invece, ad altre latitudini.
Approfittò della sua spossatezza Satana per assegnare alla “creatura” ogni calamità: dalla mosca olearia alla ‘ndrangheta, dalle calamità naturali alle necessità, alla corruzione, all’arrivismo.
Rien ne va plus: la pallina scorse veloce fra le tacche della roulette e non fu più possibile cambiare gioco. Al risveglio Dio scaraventò Satana negli abissi profondi ma i bisogni, le necessità della terra calabra rimasero lì appesi.
Il buon Dio, stanco della fatica della creazione, accettò quindi il malfatto, convinto che quella terra, anche con più fatica, avrebbe raggiunto un giorno la sua felicità.
Mi sfuggono i termini temporali, perché probabilmente dilatati e non collimanti con quelli di noi umani non molto ricettivi del concetto di eternità.
Sono comunque convinto che siamo nel pieno della maledizione di Belfagor, in un labirinto in cui le vie d’uscita sono tortuose ed indecifrabili mentre corruzione e ‘ndrangheta dilagano nel disinteresse dei calabresi che sembrano vivere su un altro pianeta.
Ci sono in giro attori ed attrici, manutengoli e mantenuti della politica, tanti quanti sono gli enti inutili e le fondazioni in house, divenute occasioni da non perdere per dare a preziosi glutei adeguate e meritorie sistemazioni!
In una regione senza arte né parte, ma generosa a tal punto che “all’orto di Dio devo mangiare pure io”, ecco partecipare alla mensa cialtroni, galoppini e gregari di politici affamati di consensi elettorali. Senza distinzione di fede e di colore politico, come dimostrano gli accadimenti di questi giorni, dove si sono coniugati sacro e profano.
Conservare il potere è la parola d’ordine e pecunia non olet è l’ hashtag del momento!

Il ministro dell’Interno Marco Minniti

Ormai è chiaro a tutti che la partitocrazia è storicamente uno dei sistemi più corrotti e la corruzione è una sua fisiologica patologia vergognosamente condivisa dagli intruppati del sistema, in nome e conto di un eccessivo garantismo che ha ormai legittimato e fatto suo quel vergognoso istituto della prescrizione per scadenza dei termini temporali. Tanto da aver legittimato il principio che la legge è uguale solo per… i ladri di galline.
S’ode a destra uno squillo di tromba (corruzione, egotismo, arrivismo) … a sinistra risponde uno squillo (‘ndrangheta in tutte le sue coniugazioni).
E’ di ieri la notizia che il nostro ministro degli Interni, on. Marco Minniti, calabrese e quindi conoscitore di uomini e cose, per accertati condizionamenti mafiosi , ha risciolto il consiglio comunale di Gioia Tauro e mandato alle ortiche anche quelli di Bova Marina e Laureana di Borrello, ma ben si è guardato dal toccare Locri che, certamente, è in odor di santità. Le ragioni le dice il giudice Romano De Grazia, presidente emerito della Corte di Cassazione, in un suo post in qualità di presidente del Centro Studi Lazzati nonché autore della omonima legge.
L’emerito presidente, vox clamantis in deserto, esordisce con il regalo di Minniti fatto ai calabresi, vale a dire il trasferimento del prefetto di Modena, per acquisite benemerenze, a Reggio Calabria nonché con lo scioglimento, a due giorni dal deposito delle liste elettorali, dei consigli comunali di Gioia Tauro, Bova Marina e Laureana di Borrello.
Evita un qualsiasi intervento su Locri – egli aggiunge – dove pure è stato minacciato dalla mafia il suo amico e protetto da Renzi, don Luigi Ciotti, pur se il sindaco Giovanni Calabrese aveva messo una taglia per l’individuazione degli imbratta muri (ovviamente non riuscita) e pur se poi è emerso che il papà del sindaco in qualche operazione amministrativa è risultato colluso con la cosca dei Cataldo”. 
Il giudice De Grazia, poi, pone l’accento sulla disinvoltura con la quale l’on. Minniti è passato da D’Alema a Veltroni, a Bersani ed, infine, a Renzi. “Minniti è un immortale, per sopravvivere politicamente – egli sottolinea – si comporta da levantino”.
Con questi chiar di luna: ‘ndrangheta, corruzione, partitocrazia, ascari intruppati nel sistema, miei lettori, secondo voi, oggi Leonida Repaci avrebbe scritto, per la Calabria, quelle belle affascinanti pagine? Ed il buon Dio spera ancora che questa terra possa raggiungere il benessere e la felicità nella legalità?