Vai al contenuto

Lo scrigno di Lamezia
ed il vaso di Pandora

Esiodo ci racconta che il vaso di Pandora era un dono fatto da Zeus alla prima donna mortale, tra l’altro leggiadra ed avvenente fanciulla, raccomandandole di non aprirlo. Ma la curiosità è femmina e Pandora l’aprì. Fu così che si propagarono i mali del mondo umano: la vecchiaia, le malattie, la gelosia, il vizio e la pazzia. Quando ella prese coscienza del mal fatto richiuse il vaso lasciando sul fondo la speranza. Per il genere umano, che fino a quel momento aveva lo stesso modus vivendi degli dei dell’Olimpo, cominciarono triboli e fatiche, fino a quando la stessa Pandora, per riparare,  non liberò anche la speranza. Da quel momento il mondo  degli umani riprese a vivere tra gioie e dolori.
Anni 60: il senatore lametino Arturo Perugini, riprendendo un disegno del sen. Salvatore Renda, datato 1927, ripropose l’unificazione dei tre comuni di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia nell’unico grande comune di Lamezia Terme, divenuto tale per legge di Stato il 4 gennaio 1968.  Contribuirono scendendo in campo,  e non dietro le quinte, il vescovo di Nicastro  Vittorio Moietta, con annessi e connessi, intendendo per tali i locali movimenti di opinione e gli operatori   industriali del nord, invitati dal monsignore, per sensibilizzare, stimolare e preparare, sia pure a grandi linee, quello che poteva diventare e comportare, per l’intera regione,  Lamezia Terme, la  Zingonia del Sud.
Il tutto condito e supportato da una crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso un’inchiesta giornalistica, di 20 puntate condotta da Romano De Grazia per Il Tempo di Roma,  culminata con un referendum ed un convegno al quale parteciparono quasi  tutti gli esponenti politici regionali.
All’iniziativa aderirono quasi quattromila lettori, 1’88% dei quali alla fine si dichiarò favorevole  all’unificazione dei tre centri.
Entusiasmo alle stelle, grandi aspettative da parte di tutti i giovani,  lametini e non, che pensarono avesse avuto il battesimo effettivamente la Brasilia del Sud che avrebbe segnato il cambio di passo della regione Cenerentola d’Italia. Non c’era, infatti, giorno in cui i “pennaioli” dell’epoca, me compreso, non scrivessero di questa città meravigliosa, quanto fantastica, che avrebbe dato il la allo sviluppo ed  ospitato l’università, il centro siderurgico, l’aeroporto, il porto, addirittura anche scendendo in sterili polemiche campanilistiche.
Quanto avvenuto è noto a tutti: dallo scrigno lametino, come accadde per il vaso di Pandora, si liberarono nel cielo gli spiriti maligni (‘ndrangheta, malaffare, corruzione, malapolitica ed incapacità gestionale) che, giorno dopo giorno, presero il sopravvento sulle buone intenzioni: Zingonia, Brasilia, Lamezia provincia, centro siderurgico, università sono rimasti solo pallidi ricordi di sogni solo sognati. Protagonisti dello scempio non una ignara e curiosa fanciulla, ma una classe politica vuota di contenuti,  parolaia quanto mendace, opportunista quanto trasformista. Sul fondo dello scrigno lametino, come nel racconto di Edipo, rimase inchiodata la speranza, non più verde nel suo vitale fulgore e, quel che è peggio, sulle scene mancò un’ altra avvenente, trasgressiva e pasionaria  Pandora.
Lo stesso sen. Perugini già nel 1979, undici anni trascorsi inutilmente dopo la costituzione della città della Piana, quando  all’entusiasmo avrebbe dovuto avere già seguito quanto meno uno straccio di programmazione, alla domanda di un giornalista: il disegno di Lamezia è dunque fallito? rispose con fierezza ed orgoglio riteniamo di no. Continuiamo ostinatamente a ritenere di no! Perché la forza delle idee non potrà non prevalere sulla politica di piccolo cabotaggio, sui compromessi, sui tradimenti, sulle furberie abili o maldestre.
Invece niente di tutto ciò: imperterriti i “politicanti” calabresi, tra una sottile voluta di fumo e l’altra,  si fumarono  Zazà.
E tra una voluta di fumo e l’altra, svanivano nell’aria le immagini delle  ciminiere fumanti delle industrie, l’università, la città della piana e, giorno dopo giorno, i sogni cedettero il passo all’amara realtà che oggi stiamo ancora vivendo.
Troppo bello sarebbe stato se “tutti per uno ed uno per tutti” si fosse trovato il diapason che desse il via all’orchestra.
Ed i sentori dei tranelli, delle camarille, degli agguati si percepivano già nell’aria. Infatti lo stesso Romano De Grazia, nelle note  conclusive della sua inchiesta scriveva:  ci guardavamo in giro, forse nell’inconscia inconfessata speranza di trovare qualcuno che ci svelasse finalmente il volto del nostro avvenire. Si farà davvero la nuova grande città o essa rimarrà soltanto tra le pagine della nostra fantasia, popolata da spettri?
E proprio così è andata la favola di Lamezia, quarta provincia della Calabria, motore grippato dello sviluppo regionale o addirittura  maternità interrotta da chi questo parto non voleva.
Non è mia intenzione fare dietrologia, addossare la croce a questo o quello. A prescindere dal colore e dalle casacche indossate le scene sono state calcate solo da quacquaraquà che non hanno saputo guardare oltre la siepe del proprio orticello: ieri come oggi!
La storia è quella  qui inconfutabilmente narrata: Lamezia è stata boicottata, ingannata, raggirata fin dalla nascita con la connivenza dei suoi stessi rappresentanti politici, complici e manutengoli di chi non voleva che questo territorio assurgesse al ruolo vocato.
Mi girano, pertanto, gli zebedei nel momento in cui un fantomatico comitato istituito dal comune di Lamezia Terme si appresta ad organizzare le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dell’ istituzione della città della piana, oggi tesa e protesa ad accreditare la vaianazza dopo che dalle stalle sono fuggite le vacche e con esse sepolte le speranze di ricoprire un qualsiasi ruolo…da protagonista non da comparsa.
Onestamente non ravviso motivi di gaudio, anzi di mortificazione, perché se guardo oggi la città e penso alle premesse per le quali era nata, non credo  ci sia niente da celebrare se non  la pochezza di una classe politica sempre più in sedicesima, di una corruzione sempre più devastante, di un malaffare dilagante e di un improvvisato pressapochismo che non porta da nessuna parte.
Se la memoria non mi inganna fin dal tempo dei Romani i trionfi e le celebrazioni venivano realizzati per fissare la memoria di un imperatore trionfatore grazie alle sue gesta,  alle imprese dei suoi generali, alla grandezza di una Roma sempre più imperiale.
Ma in quest’affresco regional – paesano più che di celebrazioni per il cinquantenario dell’istituzione della città, forse varrebbe la pena istituire un muro del pianto sul quale effigiare i protagonisti della più grande, della più turpe truffa perpetrata ai danni di una popolazione che, tra l’altro, non ha ancora trovato né l’identità né tanto meno l’orgoglio dell’appartenenza.
Ebbene si, avrei visto certamente di buon occhio la costituzione di un comitato che ricordasse ai nostri figli quanto pressapochisti  e non aggiungo altro epiteto, sono stati i loro padri.
Lamezia, buon genetliaco! C’è poco da stare allegri? Forse hai ragione, non eri niente ieri, sei men che meno oggi. Grazie, grazie a tutti i pifferai.