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Fiori di corbezzolo Le nuove liriche di Gaspare Caputo

“Non so perché sono sempre stato attratto dalle cose, dalle persone e dalle azioni semplici, silenti alle quali nessuno fa caso perché seppellite nei meandri dell’ovvio, nei luoghi comuni!”.
Con questo incipit il dott. Gaspare Caputo presenta la nuova raccolta di liriche intitolata Fiori di corbezzolo: una dichiarazione di poetica e contemporaneamente l’indicazione dell’angolazione scelta per guardare e rappresentare il mondo, il proprio mondo poetico che, come avviene ai veri poeti, è unico e inconfondibile, lontano da stereotipi e parole scontate della gente comune e dei media.
In una lunga erudita spiegazione il corbezzolo, che in dialetto definiamo cacumbaru o, con l’assimilazione nasale della -b- come avviene nei paesi del lametino settentrionale –cacummaru-, diventa per Caputo il simbolo della riscoperta di ciò che è semplice ma anche prezioso: “gli antichi Romani ben conoscevano le virtù terapeutiche delle foglie, delle bacche e del miele del corbezzolo”.
Caputo resta così fedele al suo mondo poetico, quello espresso nelle poesie dialettali nelle due precedenti raccolte pubblicate nel 2007 e nel 2015.
Se c’è continuità tra le prime due sillogi, la terza del 2017 ha i caratteri della novità nella scelta del mezzo linguistico, l’italiano, e in qualche misura nei contenuti, perché è la lingua stessa a modificare l’approccio al reale: concreto, immediato e legato all’ambiente e alla cultura in cui si è vissuti col dialetto. Consapevole della tradizione, delle forme metriche più libere, degli stilemi e dei contenuti propri della tradizione letteraria con l’italiano.
Il richiamo alla tradizione è già evidente nella lirica introduttiva dedicata a Franco Berardelli, il poeta di Martirano morto giovanissimo di tisi e compaesano di Caputo.  Gaspare Caputo vede in lui un precursore, anche perché in Berardelli egli ritrova la malinconia di chi coglie l’inevitabile appressarsi della morte e la consapevolezza della malattia che toglie gioia alla vita. La lirica esprime anche il senso di appartenenza ad un territorio, quello dei paesi intorno al Monte Reventino, che ha dato alla Calabria una rosa di grandi poeti dialettali: Michele Pane, Vittorio Butera, Dario Galli.  Come fecero loro, Caputo ricorda nei suoi versi i motivi dell’ispirazione poetica di Berardelli e riecheggia le loro parole di rimpianto per la morte precoce del giovane poeta che si apriva alla vita.
Tornano in questa raccolta in italiano i temi già presenti nelle due precedenti raccolte in dialetto:

  • l’infanzia con le prime esperienze sentimentali di un ragazzo che vive in un piccolo paese, in un ambiente modesto ma ricco di affetti sinceri (il padre, la madre, la nonna, la casa);
  • la natura incontaminata che fa da sfondo;
  • i personaggi di quel piccolo mondo che hanno segnato profondamente quest’epoca della vita (Gisella, Il mendicante);
  • la fine delle illusioni (La verità, Storie, L’albero di Giuda, La mia bicicletta)

Ma i contorni realistici delle liriche in dialetto lasciano il posto ad una rappresentazione del dramma umano che supera i confini geografici della Calabria e tende a cogliere il senso di labilità della vita che fu proprio dei crepuscolari e di Berardelli, ma appartiene anche a tutti gli uomini quando i ricordi son tanti e le illusioni poche.