Sono i versi di uno sfortunato e infelicissimo poeta, il quale visse il suo anonimato civile in una qualunque città del nord Italia, distillando sillabe di maledizione e di veleno.
Questa volta, nonostante il déjà-vu, non nel solito Costabile andremo a riconoscere l’autore della poesia, ma nel meno conosciuto Simone Cattaneo.
Rimane che essendo pure quest’ultimo di origini bruzie portò nel sangue il ricordo di una delle tipiche attrattive nostrane.
I roghi – dolosi o meno – che negli ultimi tempi costellano montagnole e colline locali, sono divenuti il leitmotiv delle nostre splendide serate estive. Basta appoggiarsi distrattamente a un balcone di casa per coglierli nel loro massimo fulgore, per vederli illustrare, con le loro magnifiche punteggiature rosse, la cartacarbone di sfondi indefinibili…
Fatta la lirica, tirato lo scarico: e come dietro i fuochi pirotecnici, così belli a vedere, si cela il lavorio degli addetti, il disadorno delle piattaforme, gli erari pubblici, tutta la bella prosa dei comitati per i festeggiamenti e delle questue; così come sotto la cenere dei roghi è probabile si acquatti altrettanta prosaicità.
Intanto, dal profondo del loro precariato, i vigili calabresi dell’Usb, si scusano di non potere, a fronte di tanto allarme, riuscire ad espletare convenientemente il loro sacrosanto dovere, e ciò a causa della penuria numerica, specialmente corroborata dalla soppressione del Corpo Forestale dello Stato.
Un’altra estate volge alla fine, e mentre le mie pupille friggono allo spettacolo notturno di quelle criniere incandescenti, dietro tempestivo suggerimento del Riccardo III sono sospinto giocoforza a dire: “Un cavallo, tutta la mia cara Bruzia per un cavallo!” Ma sarebbe da vigliacchi.