Prima parte
Tutti sanno, ma fan finta di non sapere quanto sia costata alla Calabria e quanto gravi, ancora oggi sulla nostra miserabile economia, quella “salomonica” decisione che sancì Catanzaro, capoluogo di regione e sede della giunta e Reggio sede del consiglio regionale. Comincia da qui la storia infinita di Lamezia Terme, la più grande fiction messa mai in scena!
Non credo esista sul territorio italiano un’analoga situazione ed anche se ancora oggi paghiamo lo scotto di quell’infelice scelta, è vivo il ricordo di quell’inciucio ordito dai Mancini, Misasi, Antoniozzi, Vincelli ed associati.
Ricordare quell’evento non è dietrologia, ma solo rimarcare quanto le “risse” scatenate dal bieco campanilismo e dalla “mollezza” governativa – incline al compromesso, al quieto vivere ed al “volemose bene” – abbiano nuociuto, ieri come oggi, allo sviluppo della nostra regione ed abbiano dato linfa vitale alla rigogliosa crescita degli egoismi paesani.
Trovo inutile ricordare i “boia chi molla” da una parte, le “occupazioni” di strade e stazioni ferroviarie dall’altra. Ad imperitura memoria basta guardarsi attorno per capire quanto sia stata deleteria per la gente calabrese quella “guerra tra poveri” e quante volte il trend delle traiettorie di sviluppo ha subito modifiche ed accomodamenti a seconda degli interessi elettorali dei leader del momento.
Hanno suonato a stormo le campane delle Calabrie, da due diventate tre o quattro per soddisfare gli appetiti elettorali di delfini e capodogli a caccia di preferenze che, superiori alle centomila, avrebbero seriamente ipotecato una poltrona ministeriale, dispenser di prebende, appannaggi e posti di lavoro.
Han suonato a stormo le campane delle Calabrie, ma in ognuna di quell’aree han suonato a martello anche le campane dei territori, funestati da lotte intestine delle quali ancora oggi si contano i morti.
Si è proprio una bella storia italiana quella iniziata nel 1970, data di istituzione delle regioni e, forse non sbagliava Giorgio Almirante che, nel tentativo di bloccarne l’iter legislativo, pronunciò alle Camere un discorso durato ben dodici ore.
Morale della favola: i famelici appetiti della classe politica dirigente della nostra regione anzi che ubbidire ad una visione strategica generale dello sviluppo sono andati, per tangenti e secanti, dritti a “coltivare” il proprio orticello e raccoglierne i frutti!
Favola senza morale: la città lametina – senza santi in paradiso – principessa sul pisello, là era e là è rimasta, in trepida attesa del principe Rollo che la impalmasse; ma “sic stantibus rebus” non è azzardato ipotizzare che essa, oggi come ieri, sia stata condannata a vestire i panni di acida zitella.
Ebbe avverso il destino questa città, nata in un clima di compromessi, di accomodamenti, di scambi, di promesse mai mantenute, di ciarlatani e di imbonitori, di trastullanti parolai ed abili mestatori.
Completamente assente non giustificata una classe politica dirigente che sapesse vedere al di là del proprio naso e che avesse una visione chiara su direttrici di sviluppo, su previsione, programmazione e pianificazione dei fatti che avrebbero dovuto dare senso e contenuto all’area lametina.
E’ avvenuto così, per diritto naturale, che da sola e spontaneamente, Lamezia si sia preso quanto le era congeniale, ma non è andata oltre per l’idiozia di una classe politica senza “fantasia”, senza ambizione, ma con tanto “amore” – chiedo licenza – per i cazzi suoi e con tanta scaltrezza da rigettare le responsabilità su famelici vicini di casa, così vestendo i panni della vittima, giocando a cavacecio e alimentando l’amor di campanile, ieri come oggi.
A due passi dall’eterno riposo i capponi del manzoniano Renzo non si danno ancora pace e, pur sulla sella di un asmatico ronzino, continuano con la stessa asfittica, indefinita politica di ieri.
Infatti a due anni dal suo insediamento, tranne annunci e proclami, la giunta in carica – che non ha mai parlato di programmi di sviluppo della città ormai ridimensionata nella sanità, depauperata di importanti uffici istituzionali, mortificata da una commissione d’accesso che potrebbe concludersi a breve con il terzo scioglimento del consiglio per infiltrazione mafiosa – non trova di meglio che pensare alla celebrazione del cinquantenario del bambino affetto da rachitismo ipofosfatemico.
Stoltezza di improvvisati manager, più che Ironia della sorte, la città della piana ha perduto anche la squadra di calcio, la Vigor Lamezia, che dopo quasi 90 anni, coinvolta nello scandalo dirty soccer, retrocessa e coinvolta in procedura fallimentare, torna sui campi da gioco nel campionato di prima categoria dopo aver acquistato il titolo dello Stalettì, piccolo comune del catanzarese.
Tutto ciò farebbe impallidire, tra i caudatari ed i prosseneti che si sono succeduti in questi ultimi cinquant’anni, chiunque conservi dignità ed amor proprio.
Mai mettere, però, da parte l’allegria. Giorni fa il comitato dei festeggiamenti si è riunito e, nel dichiararsi pronto a recepire proposte da parte di tutti i cittadini, non ha perduto l’occasione di far riferimento e stigmatizzare il pessimismo dilagante secondo cui “non c’è nulla da festeggiare”. Evidentemente i punti di vista sono diversi e tutti rispettabili; probabilmente i componenti del comitato festeggiamenti del cinquantenario pensano che Lamezia possa risorgere dalle ceneri facendo innalzare una stele davanti alla Concattedrale di prossima (?) costruzione o tentando di indottrinare scolari e studenti con lo svolgimento di un tema sul nativity lametin day. Ma, per par condicio, non é da escludere né la mestizia né la pietà che il caso richiede.
Segue ….