Mai udita una domanda più tendenziosa e improponibile di questa. Eppure, se non sogno, era il titolo di un tema propinatoci in quarta superiore da un vecchio docente che intendeva evidentemente sollazzarci con dell’umanesimo tascabile o, magari, povero caro, offrire l’opportunità di qualche riga anche a chi del programma scolastico teneva poco conto.
La domanda non era che un inconfessato luogo comune, e come ogni luogo comune celava in sè le più sottili, crudeli e astruse diavolerie. In fondo si trattava di un ordigno perfettamente borghese dotato di orologeria.
Per declinarlo convenientemente avrei dovuto allora chiamare alla ribalta la solita congerie di primati antropologici, di adattamenti all’ostico ambiente, di tecnologie strutturate, scienze comparate, innumerevoli rimedi, farmacopole ed altre cianfrusaglie con cui l’uomo suole condire la sua boria: cultura, capacità di discettare sui massimi sistemi, di lambiccare frasi da imbesuire un popolo ritagliandosi una sovranità retorica.
O fossi stato un borghese appena decente (borghese è più un’assiologia che una realtà di fatto) avrei stilato, velandolo in un plurale maiestatis, l’encomio di mio padre: risorse a profusione, energia orgonica bene incanalata, potere di disporre a proprio talento delle risorse materiali ed umane, propulsione vulcanica di idee proficue, irriducibile fallocrazia, pene dispensatore di infinite repliche di produzione, odio sovrumano, e così via in un crescendo di aberrazione del Sogno Americano.
Io tacqui nell’una e dell’altra scelta. Solo pensai modestamente che trent’anni dei secoli bui, quando si riusciva a sputare dei denti con uno starnuto, potevano ben valere cento del nostro secolo stagnante; pensai che i 969 anni di Matusalemme erano in verità anni spirituali, cioè spendibili anche in tre o quattro decadi di esistenza terrena; pensai che il quaderno o la tavoletta cerata su cui dovevo sperperarmi, recideva in quel momento, raschiava via, tutti i secoli trascorsi, coi suoi vaccini che mi erano stati di pro un tempo, ma che ora mi erano letteralmente inutili. Iniziavo la vita soltanto da allora, con la censura e la tacita obiezione a una domanda troppo grave.
Che cosa risponderei adesso alla stessa domanda? Basterebbe l’infingardaggine a farmi riprendere in mano uno di quei due pratici e placidi mainstream? O forse potrei dire che c’è dell’altro dietro la “protesta virile” dell’umanità, la sua attitudine alla sopraffazione teorizzata da Alfred Adler? Che cosa penso, se mi è lecito, ora che la libertà di pensiero è forse il più grande flatus vocis?
Penso che la domanda stessa, quanto vale?, sia viziata da quel processo di reificazione economica che ha mutato l’uomo in merce, quel medesimo lugubre tunnel degli specchi che ne ha dissipato l’identità, riducendolo alla sua entrata pecuniaria. Penso che l’afferrare fine a se stesso sia, quale modus vivendi, sintomatico di una vera debolezza organica e spirituale che nessuno può oggi non accusare almeno in parte. Il demone nichilismo prende le mosse dal rapporto dicotomico fra un’autoreferenziale plenitudine dell’ego e la sua stessa povertà di contenuti simbolici. A chi ricerca la totalità un atroce e inesorabile paradosso offre in guiderdone il nulla. L’essenza di questa malattia mortale sta tutta qui: “Chi vorrà salvare la sua vita la perderà”
Così, in un sistema scientificamente, filosoficamente ed anche sentimentalmente mercificato, prestanza fisica, avvenenza, intelletto, resilienza, sono tutte cose da principianti rispetto a quell’unico dono che ciascuno può in potenza offrire, ma che tutti siamo portati a tesaurizzare in virtù della sua stessa irriproducibilità, quel dono la cui sola offerta può attuare un’autentica rivoluzione: intendo la stessa esistenza, il sacrificio gratuito della propria vita, fisico o metaforico. Non parlo di autoimmolazioni pseudoislamiche ma di offerta ordinaria e continua (la più difficile), parlo del senso di dovere e della dedizione estrema anche nelle minuterie del quotidiano, in ciò che oggi è più impopolare e bistrattato.
Ciò soltanto, per me, possiede i termini per stabilire il legittimo valore di un uomo. Tutto il resto è usura: a breve o lungo termine.