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Chiaccherata telematica
con Basilio Perugini
Così muore la democrazia…

Quando una città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango, per potere  continuare a vivere ed ingrassare nel fango.
Quando per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Quando la città, retta a democrazia, si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti  a comprarsi l’immunità.

 

Pensieri profondi che Platone, qualche secolo fa, esprimeva ai suoi allievi ateniesi (370 a.C.)  mentre democrazia liquida, democrazia light – si come quei formaggi sgrassati e raccomandati nelle diete –  oggi si contrappongono  a quella rappresentativa, data per morta perché dà troppo peso agli ignoranti.
Nella odierna realtà, invece,  sta accadendo che con un clic, tu elettore,  puoi delegare il  potere politico a persona di fiducia. Tutto questo per guadagnare voti e consensi  in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine, celebrando ancor più il trionfo dell’ ignoranza più crassa.
A ciò, poi, per completare il quadro  si aggiunge un altro insegnamento  che  proviene da tempi  lontani, dal XV secolo.  E’ Teofilo Folengo, esponente, non molto noto,  della poesia latina maccheronica che sostiene in tempora diluviorum omnia struntia navigant”.
Poche righe, asciutte considerazioni,  che però ben si attagliano e fotografano perfettamente la realtà del Paese tutto,  ma che “pennellano”, a mio parere,   un fantastico, meraviglioso quanto attuale affresco, della nostra città:
Lamezia Terme, che senza arte né parte, sta lì appesa in attesa di miracoli che solo il taumaturgico Sant’Antonio  potrebbe forse fare  se… riscuotesse le simpatie di qualche alto prelato, se non ci fossero le “interferenze “  di altri santi viciniori, venerati  da astri nascenti dell’ entourage politico comunale lametino.
Probabilmente la concattedrale  di prossima costruzione farà anche giustizia tra le tifoserie antoniane, francescane, pietropaoline e carminiane, ma restano in piedi mille altri problemi, legati alle bassezze degli umani, all’ostentata alterigia e tracotanza di chi niente era  e niente è, all’incapacità ed inettitudine dei tanti parvenù della politica.
Di questo e di altro chiaccheriamo in libertà con Basilio Perugini, presidente honoris causa del comitato costituito a Lamezia per  – mi permetto di dissentire – le   celebrazioni del cinquantenario del suo genetliaco.
Non per partito ma perché Lamezia langue, perché è’ una città senza identità e senza l’orgoglio dell’appartenenza; perchè smarrita la via maestra, quella che il sen. Arturo Perugini aveva tracciato –  la città della piana – dopo cinquant’anni  è in ginocchio e non si intravedono vie d’uscita.

Basilio, è una visione pessimistica ?
Purtroppo questa è l’amara realtà che ha avuto inizio allorchè, con una manovra sporca, il grande vecchio dell’epoca, coadiuvato dalle onnipresenti, in loco, quinte colonne riuscì a defenestrare dopo poche settimane il primo sindaco di Lamezia Terme che era stato il primo eletto, a furor di popolo, nel primo Consiglio Comunale di Lamezia Terme. Le avvisaglie si erano già verificate due anni prima e cioè pochi mesi dopo l’approvazione della legge istitutiva di Lamezia Terme, quando, Arturo Perugini aveva appena conseguito questo grande successo. Alle elezioni politiche del 1968 fu estromesso dalla ricandidatura al Senato nonostante la Direzione Provinciale della DC ne avesse votato la riconferma. Scese da Roma, sollecitato da ben individuati personaggi, un esponente politico di origine calabrese, divenuto Presidente della Repubblica molti anni dopo, che pose il veto sulla candidatura di mio padre con la risibile giustificazione che il Collegio (sicuro per la DC) era stato riservato alla Direzione Nazionale del Partito. E fu candidato Bisantis. E così era nato immediatamente il disegno di distruzione della Città appena creata. Io, comunque, penso che le vie d’uscita ci sono. Certamente ci vogliono gli uomini idonei ad identificarle e coraggiosi che le vogliano percorrere.

Senza far dietrologia, quanto avvenuto fino ad oggi – mortificazione e spoliazione della città – è da attribuire all’incapacità gestionale della nostra classe politica o agli avidi appetiti “del grande vecchio”?
Le cause della precaria situazione della nostra sfortunata Città sono sempre quelle: il disegno del grande vecchio e le quinte colonne ed anche quando in questi cinquant’anni il timone è stato in mano a persone idonee, queste sono state comunque estromesse o condizionate. Una Lamezia forte avrebbe fatto ombra alla grande confinante ultraprotetta. E dire che Lamezia in questo lungo periodo ha espresso tanti parlamentari ed uomini di governo che non hanno potuto se non voluto tutelarla.

L’acqua passata non fa girare le pale del mulino, guardiamo al presente: questa è una città morta o potrebbe avere carte da giocare sul tavolo verde della speranza?
Sono per natura ottimista, quindi credo fermamente che uomini adeguati, e per adeguati intendo dire capaci e coraggiosi possono invertire la rotta. Tutto dipende dagli elettori che devono riscoprire l’orgoglio lametino; che devono comprendere che votare in quanto clientes del candidato inidoneo determina un grave danno alla collettività. Bisogna votare senza essere condizionati dal possibile favore, piccolo o grande che sia, che ci si aspetta dal cosiddetto “amico” una volta eletto. Il voto clientelare e quello consegnato alla malavita determinano la rovina degli enti amministrativi e delle relative collettività.

Sic stantibus rebus ipotizzare Lamezia come la città dell’Istmo è un sogno destinato a morire all’alba o, invece, qualcosa che potrebbe rimettere in discussione tanto e più di tanto?
Comunque la si chiami la nostra Città, il suo futuro può essere roseo se si muoverà di concerto con tutti i Comuni che la circondano. Ed in proposito ho espresso da anni questa mia convinzione in vari articoli apparsi a mia firma anche su un giornale locale ed in vari incontri pubblici. Consorziare i servizi essenziali di vari comuni limitrofi, porsi traguardi comuni significa spendere meno, creare nuovi posti di lavoro, semplificare e ottimizzare le procedure amministrative, alleviare il peso fiscale dei cittadini, assicurare loro condizioni di vita più accettabili.

Non ti chiedo un piano regolatore, ma a tuo parere quali programmi di sviluppo dovrebbe adottare la città lametina per uscire dall’impasse nella quale versa?
Non sono un esperto di urbanistica, ma con il buon senso dell’uomo comune posso dire che Lamezia deve improntare i propri programmi di sviluppo, anzitutto alla legalità, affidarsi a tecnici esperti che valutino con onestà e lungimiranza l’impatto delle loro scelte con le vocazioni naturali del territorio, che non possono essere ignorate e sovvertite per servire interessi diversi da quelli dei luoghi e di coloro che vi vivono. Non bisogna cementificare a tutti i costi, ma costruire a dimensione di uomo, rispettando il verde, tracciando strade larghe con annessi spazi di sosta e di svago, che colleghino in breve e agevolmente chi vi abita, con tutti i servizi essenziali (scuole, ospedali, uffici, zone commerciali, ecc.). Agricoltura, commercio, mare, montagna, terme, industria, artigianato: ogni zona ha la sua vocazione e non sopporta di essere violentata con scelte che ne ignorano natura e caratteristiche. Ripeto non sono un esperto, ma solo un cittadino che, purtroppo, nella sua vita ha visto tutto e il contrario di tutto

Ritieni che i sindaci dei comuni viciniori siano propensi ad abbandonare la politica del campanile ed abbracciare la causa della Città dell’ Istmo, garanzia di sviluppo per l’intera area della piana lametina?
Io credo di sì, ma bisogna convincerli che la proposta non è predatoria e che ciascuna comunità avrà pari dignità in un progetto che deve essere realizzato in maniera condivisa ed armonica. Progetto che può servire all’intera Regione. Io credo che la diffidenza dei vari sindaci sia dovuta al fatto che troppo spesso sono stati chiamati a raccolta quando Lamezia era in difficoltà e poi sono stati bellamente ignorati. Bisogna convincerli che il progetto una volta realizzato offrirà a tutti pari opportunità.