Io penso che dovremmo tutti riflettere attentamente sui cambiamenti economici, sociali e culturali che da alcuni anni risultano sempre più evidenti e allarmanti in Europa. Questi cambiamenti sono supportati da politiche che, al di là delle sigle di sinistra o di destra, sono espressione dei medesimi gruppi di interesse che sfuggono ormai al controllo dei singoli Stati.
Quello che è in gioco è l’idea di Stato-nazione, inteso come forma di aggregazione e organizzazione in cui, meglio che in altre forme, si realizzano le aspirazioni, la concordia e il benessere dei cittadini che si riconoscono in una loro tradizione, storia, lingua, religione e cultura.
L’idea di nazione si è diffusa in Europa fin dall’inizio dell’Ottocento, come riconoscimento della propria identità di popolo e in opposizione al cosmopolitismo illuministico che la Francia imponeva con le armi nei Paesi europei sconfitti e conquistati dall’armata napoleonica.
Si concludeva con l’esperienza della Rivoluzione Francese una concezione dello Stato che durava da secoli e che si basava sui privilegi di due classi sociali, il clero e l’aristocrazia, e sullo sfruttamento del lavoro dxel popolo, il cosiddetto Terzo Stato. Il potere di governo era detenuto in genere da un Sovrano che governava per diritto divino, mentre i cittadini erano soggetti all’arbitrio di un potere che non trovava limiti né nella volontà di un Parlamento eletto né in una magistratura indipendente dal Sovrano. La Chiesa accettava e giustificava questa concezione politica e sociale, ritenendola conforme alla volontà divina
La Rivoluzione del 1789 in Francia mise in discussione tali premesse, concludendo un processo sociale e culturale in cui la borghesia, che era ormai il motore della produzione economica, del commercio, della finanza e della cultura promuoveva un cambiamento radicale basato su nuovi valori: libertà, uguaglianza, fratellanza e una concezione dello Stato come espressione della volontà dei cittadini.
Nacquero allora i movimenti risorgimentali, le aspirazioni all’indipendenza della Grecia, della Polonia, dell’Ungheria, dell’Italia. Queste aspirazioni produssero le grandi opere letterarie di Foscolo, Manzoni, Mazzini, Gioberti, Cattaneo che, in forme diverse, auspicavano un’Italia libera dallo straniero e unita.
In Germania la lotta ideologica contro la cultura francese ebbe inizio con i Discorsi alla Nazione tedesca di J. G. Fichte, che dettero origine al nazionalismo tedesco.
L’idea di nazione, ancora nel Novecento, ha influenzato la storia europea: col crollo dell’Impero sovietico, le nazionalità soggette al giogo di Mosca hanno trovato la forza di ricostituirsi autonomamente in Asia e in Europa; la Germania ha ritrovato la sua unità e la sua forza, e la Cecoslovacchia ha costituito due repubbliche separate in nome della diversa nazionalità.
L’idea di nazione ha suscitato la guerra tra le varie etnie della Iugoslavia, ed è viva ancora oggi nella guerra contro lo stato islamico del popolo curdo; un popolo smembrato dalle potenze europee che, senza troppi riguardi, al crollo dell’Impero turco lo hanno diviso tra Turchia, Iran, Irak e Siria; un popolo perseguitato con ferocia e che oggi cerca faticosamente un riconoscimento internazionale, come il popolo palestinese.
In Europa, dopo la seconda guerra mondiale, il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e l’italiano Alcide De Gasperi furono i primi ad auspicare un’Europa unita, un’Europa delle Patrie che superasse l’antiquato concetto di Stato nazionale, con l’intento di porre fine a quella lotta per la supremazia tra Francia e Germania, che aveva provocato due guerre mondiali.
La costituzione della CEE, pur nei suoi limiti politici, ha rappresentato nella seconda metà del Novecento un formidabile impulso alla pace, alla crescita economica dell’Europa e alla sua modernizzazione.
Ma col tempo gli ideali di solidarietà e la tendenza a proseguire sulla via dell’integrazione hanno lasciato il posto al risorgere degli egoismi nazionali.
Dopo il crollo del comunismo sovietico, la globalizzazione dei commerci e del sistema finanziario, favorita dalla rivoluzione dell’elettronica nelle comunicazioni, ha posto in crisi ancor di più gli stati nazionali europei, dove il potere delle grandi multinazionali, delle grandi banche della finanza internazionale, dei nuovi colossi dell’elettronica governano direttamente o indirettamente le politiche dei partiti nazionali al di là del colore e delle sigle.
Basta guardare alla storia politica italiana degli anni recenti per rendersi conto che le sigle sinistra, destra o centro sono solo espressioni diverse dei medesimi gruppi di potere che si appoggiano indifferentemente all’uno o all’altro secondo le convenienze del momento. Il centrodestra o la sinistra sono ugualmente europeisti, atlantisti, liberisti in economia, fautori di uno Stato che pesi meno e sia meno di impaccio a quelle forze che nello Stato trovavano un controllo finanziario, un freno allo sfruttamento indiscriminato della forza lavoro, una tensione morale verso la giustizia fiscale e la solidarietà sociale.
Alcuni pensano di sfuggire a tale realtà ritagliandosi una porzione di territorio su cui rafforzare la propria sovranità: lo ha fatto la Gran Bretagna staccandosi dalla Unione Europea, lo sta facendo la Catalogna nei confronti della Spagna, lo potrebbe fare il Belgio dove convivono due comunità di lingua diversa, o anche la Scozia nei confronti dell’Inghilterra.
Io penso che in un mondo sempre più integrato il motto “piccolo è bello” significa non capire come vanno le cose: l’economia, la politica, la forza militare oggi si misurano con un metro diverso da quello che si usava appena un secolo fa.
Gli stati che hanno oggi un qualche peso nel mondo hanno le dimensioni degli Stati Uniti, della Cina, dell’India, della Russia, che dal Mar Nero giunge al Mar Baltico e dal Mar Glaciale Artico all’Oceano Pacifico.
Di fronte alle potenzialità di questi Stati la Catalogna, la presunta Padania o la maggior parte degli stati europei sono piccoli nani al confronto di giganti.