I tanti casi di violenza sulle donne ci indignano e ci dovrebbero indurre a riflettere sulle cause di tale fenomeno. Studiando le culture dei popoli antichi e delle poche popolazioni che ancora oggi sono sfuggite alla “civiltà”, emerge che non tutte le culture hanno considerato la donna inferiore all’uomo. In alcune società la figura più importante era la madre. Sono società matriarcali e matrilineari, in genere pacifiche e aperte, in cui la figura femminile è esaltata nelle sue caratteristiche di fertilità.
Così appare in alcune statuine del paleolitico superiore e del neolitico agricolo. Antiche ma più vicine a noi sono le raffigurazioni di Iside in Egitto, di Cibele in Asia Minore, di Demetra nell’antica Grecia, spesso accompagnate da un figlio, da una figlia, da un compagno: Horus, Proserpina, Attis, Adone.
Nell’Antico Testamento la donna appare dapprima come creata direttamente da Dio insieme all’uomo, e in un altro punto come nata dalla costola di Adamo. A lei nella tradizione giudaico-cristiana si attribuisce la tentazione di Adamo e l’allontanamento dell’uomo dal Paradiso Terrestre.
Anche nel mito greco delle origini la donna è considerata causa dei mali umani.
Nell’antico poema di Esiodo (VIII sec. a.C.), Le Opere e i Giorni, c’è questo racconto (vv. 59-105):
Efesto, per volere di Zeus, padre degli dei e degli uomini, per punirli del grande potere da loro ottenuto col furto del fuoco commesso da Prometeo, plasmò dalla terra una figura femminile bellissima: “Atena occhio di mare, le diede un cinto e l’adornò; e le Grazie divine e Persuasione veneranda intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida chioma, l’incoronarono con fiori di primavera; e Pallade Atena adattò alle membra ornamenti di ogni genere. Infine il messaggero degli dei Ermes le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta” e chiamò questa donna Pandora perché aveva ricevuto tutti i doni. Per volere di Zeus, Ermes condusse Pandora da Epimeteo (colui che pensa dopo), al quale il fratello saggio Prometeo (colui che pensa prima di agire) aveva raccomandato di rifiutare qualsiasi dono di Zeus.
Epimeteo, invaghito delle grazie di Pandora, accolse presso di sé la donna col vaso che Zeus le aveva consegnato con l’ordine di non aprirlo mai.
Ma la curiosità indusse la donna a togliere il coperchio del vaso, e si attuò così l’inganno di Zeus: dal vaso fuggirono e si dispersero tra i viventi, che prima vivevano felici, tutti i mali che tuttora li affliggono. Ultima rimase agli uomini la Speranza che Pandora riuscì a rinchiudere di nuovo nel vaso.
Bisogna pur dire che altri racconti esaltano la figura femminile sia nell’Antico Testamento sia nel mito greco e latino. Dalla virtuosa Lucrezia a Cornelia, madre dei Gracchi, alla Psiche del mito di Amore e Psiche nel famoso libro delle Metamorfosi di Apuleio (II sec. d.C.), alle tante sante e martiri della antica tradizione cristiana. D’altra parte il culto di Maria, madre di Gesù, mediatrice tra Dio e gli uomini, trova un corrispettivo laico nella celebrazione di famose figure femminili come la Beatrice di Dante e la Laura del Petrarca.
Forse è anche da questa lunghissima tradizione che scaturisce l’ambivalenza con cui si è sempre guardato alla donna, datrice di vita, angelo mediatore, ma anche tentatrice e causa del male.
La cultura moderna e laica degli ultimi due secoli ha equiparato la donna all’uomo sul piano dei diritti, aprendole di fatto tutte le carriere e le opportunità che appartenevano prima all’uomo.
Eppure non è scontato che una così lunga tradizione non abbia ancora conseguenze in ambienti sociali ormai poco omogenei, come avviene e sempre più avverrà in società multirazziali e multiculturali.
La storia passata ci racconta la violenza nei confronti dei popoli vinti, di chi ha ideologie diverse dalla propria, di chi non fa parte del gruppo dei pari, di chi è ritenuto inferiore per razza, per cultura, o semplicemente di chi nel gruppo sociale è più debole e indifeso come i bambini, le donne, gli anziani, i portatori di handicap.
La società di oggi nei paesi più sviluppati, con il suo individualismo sfrenato, con l’invito costante alla promozione e all’affermazione di se stessi, con la potente suggestione pubblicitaria al consumo, con la produzione di film e di giochi per bambini in cui la violenza fisica e psicologica è insita nel meccanismo del gioco, non incita forse, anche in forme nascoste, alla violenza?