1991, 2002, 2017 sono gli anni che hanno segnato lo scioglimento del consiglio comunale lametino. Tra il primo e l’ultimo sono trascorsi ventisei anni che sono scivolati sulla pelle degli abitanti della città della piana senza che costoro si ravvedessero e riflettessero nel momento dell’espressione del voto.
Mi sto incartando in una considerazione dissacrante che alcuno, politico o non, per evidenti ragioni di convenienza ha mai fatto: quello di dire ai concittadini che in questo niente di niente essi sono primi attori e non comparse e che le responsabilità dello status quo sono equamente distribuite. Dire, inoltre, a tutti gli imprestati alla politica, ai faccendieri, ai tornacontisti, che si levassero dai piedi e muovessero il c… per sbarcare il lunario.
Così come ha fatto e fa – quella maggioranza silenziosa dei non votanti (33%), disgustata da questo connubio tra mafia e politica, non ipotizzato ma, checché ancora si blateri, ampiamente dimostrato dai puntuali rilievi mossi dal Ministro degli Interni Marco Minniti e suffragati da “fonti tecniche di prova”. Una relazione questa che inguaia la maggioranza, l’opposizione e finanche la classe dirigente che, intesseva rapporti cointeressanti con soggetti penalmente non brillanti.
Certo è che nel momento in cui essa verrà resa nota, riserverà non poche sorprese su uomini e cose, ferme restando tutte le garanzie di legge su procedimenti in corso e norme tutelanti la privacy.
Non possono, in questo frangente, non riaffiorare i ricordi relativi ai festival antimafia, alle fiaccolate di solidarietà, alle commissioni antiracket ed a tutte quelle iniziative, salvifiche e beatificanti, che nulla hanno prodotto al di là della convinzione che la mafia possa essere contrastata comodamente seduti in salotto o in passerella.
Insomma sono trascorsi ventisei anni senza che nulla mutasse, senza che quella saggezza e ragione – per Cicerone elementi che accomunano l’uomo e la divinità – facessero capolino e prendessero il sopravvento sul voto di scambio, sul do ut des, sugli inciuci, sul menefreghismo e sulla indifferenza.
Ma in questo meraviglioso affresco lametino – sostiene Minniti, facendo riferimento alla relazione del prefetto e mettendo a raffronto le cause degli scioglimenti precedenti – sorprende l’assoluta continuità e la persistenza delle medesime dinamiche collusive e dell’operatività degli stessi personaggi di spicco delle organizzazioni dominanti nel territorio.
Che tradotto in parole povere… significa che il contesto ambientale non solo è rimasto sempre quello – cioè animato da cointeressenze e rapporti tra numerosi componenti dell’organo amministrativo ed appartenenti alla criminalità organizzata – bensì contenente anche illegalità diffuse in vari settori.
Sorprende, quindi l’avv. Paolo Mascaro, che colto da evidenti provvidenziali amnesie, nelle sue arringhe non ha mai fatto menzione, relativamente all’elezione del consiglio comunale tutto, delle “disfunzioni” registrate fin dai primi giorni dell’insediamento per i casi che hanno coinvolto il vice presidente del consiglio Giuseppe Paladino, il consigliere Pasqualino Ruberto (entrambi indagati per concorso esterno in associazione mafiosa), la compravendita dei voti (processo in corso) per il padre dell’ ex presidente De Sarro, e dulcis in fundo la consigliera Raso fidanzata con uno degli arrestati dell’operazione Crisalide.
Sorprende ancora di più l’avv. Paolo Mascaro quando in tutto il suo abbaiare alla luna, parla, straparla di delibere approvate in contrasto alle organizzazioni mafiose; di gestione celere e veloce dei beni confiscati alla mafia; dei milioni di debiti regressi pagati ai fornitori, forse perché coperti dai pervenuti proventi statali e dalla spremitura degli utenti lametini che pagano acqua, rifiuti e immobili con le aliquote più alte del Paese.
Si, però, il decreto di scioglimento mette in discussione il sistema degli appalti, aggiudicati sempre alle stesse ditte; la concessione di immobili a cooperative in odor di santità; l’appalto per la mensa scolastica e la gestione del verde pubblico; la manutenzione delle strade ed il disordine amministrativo e, ciliegina sulla torta, Il fatto che Mascaro e Carnovale, sindaco e vice sindaco, eletti a maggio del 2015, sono stati sino ai primi mesi del 2016 difensori di fiducia di esponenti mafiosi e quando è esploso il conflitto di interessi, costituzione di parte civile del Comune nei processi, il mandato è stato assunto da altro professionista in stretti rapporti di affinità con il primo cittadino.
Sicuramente l’argomento consacrerà l’apoteosi dei se, dei ma, dei forse e del non vero, dei proclami e degli annunci, come quello già apparso sui social dove l’avv. Mascaro chiede “giustizia subito: la fascia ritorni al rappresentante del popolo”.
Non so perché, ma Mascaro mi ricorda la morte del cigno di Cajkovskj. Forse perché il cigno è altero ed orgoglioso, perché pensa di essere un monarca e non ama altri esemplari del mondo alato e pur ben conscio che è giunto il momento della morte l’affronta con la compostezza di un dio.
Ecco, quest’ultimo particolare, invece, li differenzia.