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Orgoglio lametino… nonostante tutto Lettera aperta al Commissario Prefettizio Alecci

Egr. dott.  Alecci,
Le scrivo, con fiducia ed accoramento,  perché a conoscenza del discorso che ha fatto, a noi lametini, sul funesto evento dello scioglimento del nostro civico consesso.
Nel sensato suo dire, in occasione del recente, autorevole convegno alla presenza di mons. Cantafora, vescovo lametino, dell’on. Rosy Bindi, ex presidente della commissione parlamentare antimafia,  e dei rappresentanti dei sindacati, tutti nobili paladini della legalità e trasparenza, esternava il pensiero – non dandosene ragione – del silenzio assordante della città da Lei ora amministrata, a fronte dello tsunami o meglio dello schiaffone ricevuto dalle istituzioni con il terzo scioglimento, per infiltrazione mafiosa, del consiglio comunale.
Plaudendo, poi,  all’iniziativa presa dai sindacati, senza mezzi termini ha prospettato due ipotesi casuali: o che la città fosse complice o che fosse rassegnata;  ci esortava, quindi, a prendere posizione, ovviamente nel bene e per il bene della città.
Premesso che do scarso credito a manifestazioni di questo tipo, alle passerelle, alle fiaccolate, alla antimafia pantofolaia – per meglio capirci quelle di don Ciotti,  della Musella e compagnia cantante –  ci tengo a chiarire che l’antimafia di parata oggi è divenuta  un evento di  tutto comodo che a lei ed a me non interessa. Tutto ciò ritenendo che la mafia va, invece,  combattuta  “in trincea” e sul suo stesso terreno.
Chiedo venia per l’excursus, e torno subito al punto: la città, in grande buona parte, non è rassegnata né complice; ha solo le tasche piene dei pifferai e dei ciarlatani che affollano i prosceni politici di tutto il territorio italico.
Di ciò ne avrà contezza fra tre settimane, vale a dire all’apertura delle urne: quando conosceremo il numero degli elettori che non hanno esercitato il diritto di voto e, poi, quando immortali e sepolcri imbiancati, continueranno a indossare il laticlavio, in parlamento. Tanto, fino a quando non vengono celebrati i tre gradi di giudizio e qualora  non dovesse intervenire prima la santa prescrizione; nel qual caso,  come si dice anche dalle sue parti, sciacqua Rose e bive Agnese.
Concorderà con me che, in siffatta situazione, a poco o niente sono serviti i Codici Etici della Bindi come anche – andando di poco a ritroso –  le ultime diavolerie o marchingegni – nella sua Reggio Calabria – del nostro Marco Minniti,  quali il rifiuto con rogito notarile del voto malavitoso e l’istituzione del registro del cittadino consapevole.
Se  poi le liste dei candidati alle prossime elezioni politiche non dovessero  discostarsi dai criteri di scelta degli antichi padri, è cosa del tutto irrilevante.
La mia città, quindi,  non fa eccezione, è pienamente sintonizzata con il refrain nazionale ed ha avuto, per giunta due sventure:  aver sempre puntato su cavalli di razza che, alla fin fine, si sono rivelati ronzini  ed essere il naturale baricentro di questa regione (maledizione della 38^ luna) e come tale crocevia di loschi traffici che vanno dallo smistamento allo spaccio della droga, al racket ed al  voto di scambio, che l’ha fatta da padrone anche  in questo ultimo scioglimento.
Non condivido, però, né la complicità, né il mutismo, né la rassegnazione. Anzi, sotto la cenere cova  un malcontento che, mi auguro, rimanga sempre sotto controllo.
L’apartheid  – intesa, questa, solo come presa di distanza – della maggior parte dei lametini va vista, quindi, solo come separazione da un mondo che non ci appartiene, nel quale si vive, ma non si condivide; si preferisce essere spettatori, girarsi dall’altra parte, chiudersi in se stessi  anzi che partecipare, anzi che sentire cialtronerie e promesse che ormai si reiterano dalla notte dei tempi, mentre tutto ti crolla addosso nel trionfo del più becero clientelismo.
Capisco, egregio dottore, che amministrare una città come Lamezia, con i suoi difetti e contraddizioni, ma anche con qualche pregio,  non sia una salutare passeggiata, specialmente in un ambiente in cui è d’obbligo la legittima suspicione, in special modo quando il sospetto diventa realtà tangibile in ben documentate duecentoquaranta pagine di relazione della commissione di accesso e quando due scioglimenti del consesso civico cittadino non sono bastati a “generar senno” se dopo ventisei anni si è incorsi nel terzo.
Quel che non convince, però dott. Alecci,  è questo suo pensiero di metter su un rapporto tra Catanzaro e Lamezia che, se pur inquadrato in una logica di sviluppo dell’area centrale calabrese è e rimane una sorta di vassallaggio della città della piana al capoluogo regionale.
In verità questo  è un disegno criminoso di antica fattura, la cui genesi si perde nella notte dei tempi. Infatti Il progetto Lamezia, città regione, iniziato con la fusione dei tre comuni, fu soffocato già nella culla dai mittinculi di turno che diedero inizio, lentamente ma con certosina costanza, a spoliazioni e scippi a danno degli eterni  piglinculi lametini,  ricorrendo a stucchevoli ed immaginifiche visioni, che ieri si chiamavano Catanzaro – Lamezia o Lamezia Circondario ed oggi, aggiornando il vocabolario, si definiscono Città dell’Istmo o  Città dei due Mari.
Ma comunque voglia dirsi, dott. Alecci, lei ha messo piede  in un campo minato che lascia presagire la somministrazione di altre pillole amare ad un paziente terminale che non ha più niente da perdere.
Lametini e catanzaresi hanno storie diverse, interessi diversi e gli abitanti della città della piana hanno un passato, da riscattare,  un passato che grida vendetta.
Pertanto qualora avesse in mente di aiutare questa comunità a ricrescere, cominci a  riconoscere e dare  dignità alle intelligenze lametine, alle battaglie combattute – ed  ahimè perdute  per Lamezia e per la Calabria –  cancellando  dalla sua mente ogni subdolo tentativo di vassallaggio.
E poiché i lametini non sono tutti ‘ndranghetisti e nemmeno votati al mutismo ed alla rassegnazione mi permetto di avanzare una proposta: la creazione di un comitato di rinascita che Lei può, se vuole, ascoltare per meglio documentarsi sulle scelte che andrà a fare.  Di questo comitato, solo consultivo, potrebbero far parte qualche magistrato in pensione, qualche dirigente scolastico, qualche avvocato, qualche professore universitario, qualche medico e via così. Tutti – al massimo sei, sette persone – con un comune massimo denominatore: adamantina onestà, pura e disinteressata collaborazione per il riscatto della città, ad oggi mortificata da mercanti e mestatori.
Potremmo approfondire l’argomento nel corso di una intervista che, mi auguro, vorrà concedermi.
In ogni caso se vuole effettivamente essere di aiuto alla città barra dritta su obiettivi concreti evitando guru e santoni della squallida politica nostrana.
In attesa di un suo cenno di riscontro, la saluto cordialmente.