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L’idra di Lerna dalle nove teste Viaggio tra gli enti partecipati calabresi

La parola magica, per mettere un po’ a posto i conti dello Stato e renderli più controllabili, fu spending review. Se l’inventò Monti, nel 2011, allo scopo di ridurre gli sprechi, le spese sostenute per il funzionamento degli uffici e per erogare i servizi ai cittadini. Per via della maggior chiarezza gestionale e dei tagli imposti alle spese i bilanci avrebbero dovuto “sorridere” o, per lo meno, accennare ad una smorfia che somigliasse a tale espressione. Da quel dì i governi che si sono succeduti ed anche le varie forze politiche presenti in quest’ultima campagna elettorale hanno, più o meno, utilizzato la “spending review”  come la cassaforte alla quale attingere per, ipoteticamente, finanziare le loro mirabolanti promesse. Le società partecipate, fondazioni in house ed enti strumentali, grandi accumulatori di debito pubblico, fatta qualche eccezione, sono 8/9000 sparsi su tutto il territorio nazionale. L’obiettivo, auspicato dall’allora commissario alla spending review, Cottarelli anno 2014, era di portarle a mille. La legge di stabilità 2015 poi, ha imposto agli enti locali – regioni e comuni –  l’avvio di un processo di razionalizzazione che potesse produrre risultati positivi già entro il 31 dicembre 2015. Allo stato attuale, poiché la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcuni articoli della legge di stabilità, la riforma proposta dalla ministra Marianna Madia, è stata “congelata”, quindi in attesa che il nuovo governo l’ esamini e l’approvi.

Anche la Regione Calabria, investita dallo tsunami delle partecipate, ha affrontato il problema ed, a marzo 2015, non solo  ha approvato il piano di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie con interventi articolati in eliminazioni, aggregazioni e riorganizzazione, ma addirittura sono stati normalizzati nella gestione e/o rilanciati nella loro missione tutti gli enti e le partecipate regionali in grado di svolgere una funzione positiva nei settori dell’ economia e dei servizi.

Minchia Signor Tenente, cantava a Sanremo nel 1994 Giorgio Faletti!  Questa volta allo startup abbiamo bruciato tutti. Se così fosse !
Vediamo un po’ come stanno effettivamente le cose considerando solo l’ente regionale e tralasciando comuni e province calabre, interessate dallo stesso disposto legislativo.
Ad oggi l’ente regionale detiene: partecipazioni nel capitale di otto società attive che non sto ad elencare; partecipazioni in dieci società poste in liquidazione;  partecipazioni in tre società fallimentari, pacchetto che vale, più o meno,  46 milioni di euro.
 A queste vanno  aggiunti gli enti strumentali e le fondazioni, che costituiscono il  pozzo di San Patrizio alimentato, solo dal 2012 al 2015,  da circa 449 milioni di eurolacrime dei calabresi.
L’articolato intervento regionale non ha però convinto la Corte dei Conti che lamenta, con precise indicazioni –  come, quando e dove – le anomalie riscontrate: problemi di trasparenza, gravi carenze informative, inadempienza nell’esercizio dei propri poteri/doveri, non applicazione di numerose leggi regionali in materia di riduzione degli oneri delle società partecipate e degli enti strumentali.
Or dunque non è che si voglia buttare, ad ogni costo, la croce addosso ad alcuno ma, poiché la partita –partecipate, fondazioni ed enti strumentali –  pesa enormemente sul bilancio calabrese meriterebbe ben altra attenzione. Sarebbe, infatti, delittuoso non estirpare il bubbone alla radice e mettere ordine concretamente in quella che è stata definita “la giungla dei misteri”.
Fin dalla notte dei tempi le società partecipate sono state prebende ed appannaggio di amici, di simpatizzanti e trombati della politica. Ad esse si è sempre guardato non come aziende che devono produrre e vivere di luce propria, ma come modo e mezzo per continuare ad esercitare e gestire il potere secondo logiche clientelari, quelle stesse che hanno generato Calabria Etica, Calabresi nel mondo, che sono solo la punta dell’iceberg.
Fatta qualche eccezione è tutto un mondo in perdita nel quale brillano per malagestione Calabria Verde ex Afor (è l’argomento del giorno) che ha ridotto le spese di quisquilie, ma ha aumentato i costi del personale (da 145 a 209) e raddoppiato quelli di manutenzione di macchine ed attrezzature non informatiche per il funzionamento degli uffici;  dalla Sogas spa (aeroporto di Reggio C.) dalla Fincalabra e da Ferrovia della Calabria.
Malgrado gli sforzi fatti dall’ente regionale non si può non constatare quanto si è  ancora lontani da una gestione efficiente, consapevole e  produttiva.
Certo gli enti strumentali vanno tenuti in vita perché dispenser di servizi, ma allo stato, danno l’impressione che tanti carrozzoni ed  enti inutili  servano solo a mantenere comode poltrone per glutei stanchi.
Intanto intruppati aedi compongono “poemi” inneggianti alle gesta della compagine governativa regionale mentre rapsodi ne  magnificano l’operato “spolverando” addirittura la resilienza e la tenacia di  una regione in cammino che, malgrado le condizioni e gli eventi avversi, resiste e positivamente reagisce.
Pur facendo, però,  un grosso sforzo di fantasia la Calabria, un lustro dopo l’altro, un anno dopo l’altro, non riesce a togliersi di dosso la zavorra ed, ostinatamente, presidia i fondi di ogni classifica, mentre  i nostri governanti esultano perché il pil regionale è aumentato di uno  O,1, forse dovuto alla cattura di qualche redento contribuente o al maggior conferimento statale che tiene conto della popolazione presente in anagrafe e non di quella effettivamente presente.
Piangono, invece, i calabresi nel vedere che, dopo la crisi economica registrata in Italia come in tutta la  comunità europea, al momento della pur lieve ripresa registrata dall’Istat,  la nostra regione segna il passo ed addirittura non riesce a raggiungere nemmeno i valori registrati nel 2008, mentre aumenta il divario nord – sud e la forbice si amplia:  il Pil pro capite medio delle prime tre regioni, (riferimento 2014) ammonta a 34.370 euro contro 15.806 euro delle ultime tre in classifica, le solite Sicilia, Campania e  Calabria.
Terra, quest’ultima, dove tutti i servizi sono ridotti al lumicino, a cominciare dalla Sanità dove imperversa la falce di Scura, sempiterno governativo commissario,  sostenitore della “ migrazione sanitaria” seconda la formula, a tariffa low cost, “two is better than one”.
A braccetto poi,  il lavoro e la disoccupazione –  quella giovanile  fa registrare un tasso del 58,7%, la peggiore regione d’Europa – testimonianza eloquente di politiche del lavoro inadeguate. Ciò non toglie però,  la gioia ai nostri numi tutelari esultanti perché nel 2017 la percentuale ha subito una deminutio dello 0,5. Vivaddio dall’11,7% è passata all’11,2%. Magari è il frutto di quei contratti a chiamata, che costituiscono la legittimazione del lavoro nero!
E poi, e poi la corruzione, il malaffare, il triste connubio politica – mafia, il voto di scambio, i costi della politica che continuano a lievitare…insomma l’idra di Lerna dalle nove teste che tutto divora.
Cercasi disperatamente un novello Eracle!