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Una scuola nuova per una società nuova

Non passa ormai giorno senza che i telegiornali ci informino di episodi di violenza contro i più deboli, contro gli anziani, contro le donne e i bambini.
Spesso il luogo di violenza è quello dove crediamo che siamo più al sicuro per il legame del sangue o per la valenza educativa, la famiglia e la scuola.  Due istituzioni fondamentali in ogni società per mezzo delle quali si trasmettono valori e regole di vita, conoscenze e competenze indispensabili alla vita associata, si tratti di antiche civiltà o di società avanzate contemporanee.
Di fronte a questi fatti, oltre alla nostra indignazione spontanea e alla nostra giustificata preoccupazione, dovremmo tutti porci delle domande sul perché questo avviene. Mi è capitato di sentirmi rispondere che tali fenomeni ci sono sempre stati, che forse oggi sono i mass-media ad amplificarli, che gli episodi non vanno sopravvalutati.
C’è un fondo di verità anche in queste risposte. Il fatto è che questi episodi sono enormemente cresciuti per numero e intensità della violenza e proprio nella famiglia e nella scuola. E’ come se quel sistema di regole, che per millenni ha contenuto tali fenomeni, fosse improvvisamente franato nella coscienza di molti e se le leggi della religione, della morale laica, delle leggi sancite dalla Costituzione si fossero appannate.
La violenza presente nelle scuole degli Stati Uniti, dove un’antica tradizione legislativa e forti interessi dell’industria consentono l’uso indiscriminato delle armi, fortunatamente non è ancora presente tra noi, ma ci sono preoccupanti avvisaglie: l’episodio del docente di Lucca umiliato dagli studenti della sua classe, e la condizione di disagio in cui lavorano i docenti nei quartieri degradati delle città dove il crimine organizzato spadroneggia.
Se per la violenza di genere c’è stato un sussulto della società e della classe politica, per la scuola pubblica c’è un silenzio assordante nella società e nei governi.
Si condanna, si enfatizza qualche provvedimento di punizione, ma manca qualsiasi tentativo di analisi che tenti si spiegare il fenomeno per porvi rimedio.
Alessandro Buttitta su L’Espresso del 19 aprile 2018 sintetizza bene le cause della crisi della scuola:
Questo è accaduto perché la scuola non è più considerata come un luogo di formazione e di crescita. Priva di prospettive e di aderenza con il mondo del lavoro, si è trasformata in un edificio dentro cui sostare a causa di un’imposizione che viene dall’alto. Non essendoci più un futuro da costruire con opportunità all’orizzonte, la scuola è stata svuotata di qualsiasi valore. Gli studenti si sentono in diritto di fare ciò che vogliono, fregandosene tanto della didattica quanto della disciplina, consapevoli che gli anni dell’istruzione siano inutili nelle loro vite”.
Sembra ormai che né le famiglie né la scuola siano più in grado di cooperare come dovrebbero alla formazione dei ragazzi: nei casi peggiori i genitori si pongono come i difensori sindacali dei propri figli o pretendono di intervenire nella didattica e di valutare i propri figli sul piano del rendimento; i docenti si sentono abbandonati a se stessi dall’istituzione e dai dirigenti, che badano soprattutto a evitare grane burocratiche o giudiziarie. E così la famiglia come la scuola, quando vengono meno alla loro funzione, diventano la spia di un disagio dell’intero corpo sociale. La politica, la cultura, i mass-media dovrebbero cooperare alla diagnosi e alla cura del male, non con  la nostalgia del passato, ma riconfigurando le istituzioni in relazione alla nuova realtà tecnologica e culturale in cui ormai siamo immersi.