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Il mondo magico ed esoterico degli enti partecipati calabresi La mala gestione della Fondazione Terina

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Ieri

Nacchere, tricche ballacche e putipù salutarono la nascita della creatura. Gaudio ed entusiasmo alle stelle perché finalmente la Calabria era entrata in possesso dello strumento per dare il “la”al perenne, stitico sviluppo regionale.
Ma appena diradatosi il fumo di “sbumbe e rotarelle” ci si accorse che la  neonata, chiamatela Terina o Ligea, se volete – ninfe care in Magna Graecia – non era una rosea e purpurea bambinella, ma proprio nera, nera come il Ciro della “tammurriata” napoletana.
Come spesso accade dalle nostre parti non ci si è mai fatto caso, forse per l’inveterata convinzione ed assuefazione a quel concetto che, per gli enti regionali partecipati, chiudere i bilanci in rosso rientri nella normalità e se dovesse accadere il contrario significherebbe, invece, che qualcosa non è andata per il verso giusto.
Ciò perché enti partecipati e fondazioni in house, allo stato, sono da considerare – tranne qualche “rara avis” – solo appannaggio per politici trombati e come ricettivi serbatoi per “mettere a dimora” amici, parenti e conoscenti.
Rientra in questa logica Fondazione Terina Onlus, acronimo che sta per organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Il lucro, ovviamente, è stato e sta  sempre  da tutt’altra parte!
Nacque nel 2007 dalle ceneri del Centro di ricerca agroalimentare della Calabria, con il  gravoso compitodi promuovere e sostenere attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, trasferimento dell’innovazione, alta formazione e diffusione della cultura scientifica con particolare riferimento ai settori agricolo, agroalimentare, agroindustriale ed ambientale.
Paroloni pesanti come macigni che però,  pur pregni di significato, non hanno mai dato luogo  ad alcuna significativa attività di questo ente che ha richiesto, per la sua realizzazione, centinaia di milioni senza aver mai prodotto, a memoria d’uomo, niente di nulla: o meglio, tante, tante perdite di bilancio che nel corso degli anni rappresentano, graficamente,  cifre a sei zeri e, praticamente, milioni di lacrime versate dai calabresi.
Per la realizzazione di questo polo d’eccellenza sono occorsi 40 ettari di aree esterne e 40 mila mq di superficie coperta in cui sono ubicati attrezzatissimi laboratori di ricerca, una sala convegni di notevole dimensione, bar, cucine  e sala mensa, e 40 dipendenti – là dove ne sarebbero bastati una decina – per il miserabile costo di quasi un milione e fischia di euro l’anno e spesso costretti a salire sui tetti per la mancata erogazione degli stipendi.
Tutte le superfici adibite a parcheggi sono coperte da pannelli fotovoltaici che garantiscono l’erogazione dell’energia elettrica; tutto sorvegliato, h. 24, da un nucleo di attentissime guardie giurate, a pay – roll della fondazione.
Completano l’area Terina, campi sterminati muniti di impianto irriguo,  “coltivati” a robusta sterpaglia.
Ma al di là delle splendide enunciazioni statutarie, se a qualcuno venisse in mente di chiedere ai calabresi o agli stessi lametini, che vivono a contatto di gomito con la fondazione Terina, a che serve questo “ambaradan”,  non credo saprebbero dare una risposta non avendo mai nemmeno  percepito la presenza di questo ente.
Dopo anni di parole, di perdite economiche esponenziali, di diarrea di idee e di stitichezza di risultati, di  tentativi di normalizzazione, l’ultimo ad avere affrontato l’argomento Terina è stato il vice presidente della giunta regionale Antonio Viscomi, ora parlamentare eletto in occasione dell’ultima competizione elettorale.
Per il rilancio dell’ente il professore, in una recente assise di strizzacervelli, ipotizzava un piano di risanamento il cui primo obiettivo era la riduzione della forte esposizione debitoria maturata negli anni trascorsi, facendo ricorso  alla redistribuzione di parte del personale presso altri enti sub regionali (che non credo godano di buona salute economica, n.d.r.);poi con l’istituzione di tutti gli organi previsti dallo statuto ed, infine, considerata l’eccellente dotazione tecnologica, attraverso varie direttrici  individuareun piano delle attività concreto, realizzabile e sostenibile.
Le direttrici di sviluppo avrebbero considerato la creazione di una  rete scientifica con il coinvolgimento degli atenei interessati per materia; strumento questo che avrebbe consentito il potenziamento dell’attività di ricerca esviluppo sperimentale per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari di alta qualità e della dieta mediterranea, per la sicurezza delle produzioni agricole e alimentari e la nutraceutica (complesso di principi nutrienti contenuti negli alimenti che hanno effetti benefici sulla salute).
Senza tralasciare la realizzazione di iniziative di alta formazione, trasferimento tecnologico, diffusione della cultura scientifica, supporto alle imprese per i servizi legati allo sviluppo sperimentale.
Lo stesso on. Viscomi  poi, tornato tra noi comuni mortali dopo aver volato alto, non escludeva  la possibilità di non mantenere più il carattere di organismo in house della Terina ipotizzando una radicale trasformazione della stessa al fine di assicurare l’apertura al mercato della fondazione e dei suoi laboratori.
Quanto sia stato recepito ed adottato della relazione Viscomi, non ci è dato sapere. Però il fatto che il governatore Oliverio abbia nominato presidente dell’ente l’avv. Gennaro Masi, lascia presagire che ci sia la volontà di cambiare pagina e dare nuovo corso a Fondazione Terina.
Anche se si ha l’impressione che ancora una volta l’astrattezza l’abbia avuta vinta sulla concretezza.

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