Oggi
Mi rendo perfettamente conto di essere dissacrante ed irrispettoso nell’ invocare per una vicenda terrena l’intervento divino. Però quando il bisogno umano richiede un intervento al di fuori della natura, per avere sollievo ad una vita di sofferenze ed incertezze, non resta che accedere al mondo dei miracoli e dei santi. Qualora questa strada non fosse percorribile per diverse “convinzioni” personali c’è sempre il disponibilissimo Zeus che, con tuoni e fulmini, dall’alto dell’Olimpo potrebbe risolvere le cose in men che non si dica.
Questo è quanto, a mio parere, dovrebbe fare l’avv. Gennaro Masi, neo presidente di Fondazione Terina. A lui la scelta se invocare l’aiuto di nostri santi o di Zeus, ma certo quanto si accinge a fare non è degli umani.
Nella fattispecie fossi in lui, in primis mi rivolgerei a S. Antonio che definisco protettore dell’ex Nicastro non patrono, solo per non entrare in conflitto con l’ordine ecclesiale che, invece, sponsorizza San Pietro; per l’ex Sambiase e per Sant’Eufemia, a gran voce, invocherei San Francesco di Paola, non quello di Assisi, ma solo per ragioni linguistiche e di campanile.
Costituita così la “cupola protettiva” mi avventurerei, dopo aver rivisto, corretto e potenziato le retrovie – sulle orme di Marco Porcio Catone, al grido di “Terina non delenda est”- a ricostruire dalle ceneri la nuova Fondazione Terina, sempre se di essa se ne ravvisa ancora funzione e ruolo in questa economia di miserabili.
Ironizzo, cari lettori solo per non piangere, ma allo stato Fondazione Terina è uno dei più grande flop che ci sia stato regalato, insieme a Calabresi nel Mondo, Calabria Etica, ed i tanti carrozzoni in giro per la regione, ricettacoli di raccomandati, privilegiati nullafacenti reclutati tra figli, nipoti, parenti, affini e collaterali di questo o quell’appartenente alla casta politica.
E’ da quando fu istituito il Centro agroalimentare, poi diventato Terina nel 2007 che la pallina gira vorticosamente sul piatto della roulette, ma non si ferma mai né sul rosso né sul nero.
Ad oggi questo gioiellodella corona, che colleziona altri cocci di bottiglia, fa segnare altri undici anni di inattività: c’è stato mai qualcuno che alla chiusura dei bilanci annuali ha illustrato ai calabresi l’attività dell’ente? No, mai perché i panni sporchi si lavano in famiglia, perché non è stata registrata alcuna attività, perché le parole son rimaste tali, perché i sogni muoiono all’alba, perché ognuno ha munto la vacca: il presidente, il commissario di turno come anche i dipendenti, mortificati e lasciati in stato di quiescenza.
Resto, pertanto, attonito e perplesso, e mastico amaro quando sento chicchessia parlare dell’eccellenza tecnologica nel campo della ricerca agroalimentare quando – e qui rischio la banalità – la cipolla di Tropea o il peperoncino piccante di Diamante sono balzati alla ribalta solo per fortuito caso mediale e non per il tanto declamato sviluppo e ricerca dell’ente in questione.
Allora bando alle ciance: fino al 2013 Fondazione Terina perdeva oltre tre milioni di euro. Da quel dì le perdite ammontano a circa 500 mila euro l’anno.
Ma quel che fa più rabbia è che delle cinque fondazioni della regione Calabria, ben tre (Calabresi nel mondo, Calabria Etica e Fondazione Terina) sono state “gestite” da lametini.
A ciò si aggiunga che, ad oggi, la fondazione agroalimentare, in stato debitorio anche con gli istituti previdenziali, è in stato di quasi abbandono come documentato dalle fotografie allegate. In particolare l’area convegnistica, 5000 mq., è sottoposta a notevole infiltrazione di acqua piovana dal tetto e sorgiva dalle fondamenta.
Oltre allo stato di totale “disordine” va aggiunta la mancanza (furti, non credo) di termo convettori, di attrezzature da bar, banchi frigo, pannelli fotovoltaici, mobili, suppellettili e quant’altro, in barba alla sorveglianza, h. 24, di 14 guardie particolari giurate. E chiedo venia se non conosco la differenza tra una guardia giurata ed una guardia particolare giurata.
In breve, tenere in vita Terina per il 2018 richiede solo 3 milioni di euro, somma comprensiva di costi di lavoro (1.600.000,00 euro), spese di gestione ed interventi straordinari di ripristino. Senza contare la situazione debitoria pregressa.
Entrate previste: quattro soldi derivanti dall’affitto del call – center: 120.000 euro all’anno, comprensivi dei costi dei servizi forniti. Tutti gli altri inquilini ( Cnr, Asp, Valle Crati, Inail, ecc.) sono graditi ospiti non paganti.
Beh, è proprio necessario che il neo presidente, se credente,si voti non solo a S. Antonio e San Francesco, ma anche a San Mario (Oliverio). In alternativa gli aruspici consigliano di giocare con costanza la schedina dell’enalotto.