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Aree vaste e Città metropolitane Nessun dorma, ne vedremo delle belle

Due le  Calabrie che si adagiano lungo la dorsale appenninica, dal Pollino  allo Stretto, solcando  due mari, il Tirreno e lo Ionio. Due gli altipiani, lussureggianti e diversi tra loro,  la Sila e l’Aspromonte; quattro le aree pianeggianti, Sibari, Lamezia, Gioia Tauro e Crotone.
Distinzione, quella delle due Calabrie, di cui ancora si conserva memoria nella cartellonistica stradale. Comunque al di fuori della geografia fisica,  è la Storia che ci parla di  Calabria Citeriore (latina)e Calabria Ulteriore (greca). Tralascio le diversità tra l’una e l’altra, gli assetti organizzativi ed amministrativi, variabili a seconda dei domini che si sono succeduti, e mi permetto di aggiungerne una terza: la Calabria  della diaspora che non ha confini geografici, ma c’è. Ed è  quella della fuga di braccia e di menti, che ci affligge, ieri come oggi,  e che ha raggiunto numeri da capogiro.
Corsi e ricorsi storici, allo stato attuale i nostri governanti – art. 46, comma 6 dello statuto regionale – identificano tre Aree Vaste comprensive della Città Metropolitana dello Stretto, della  Grande o Nuova Cosenza ed, a saldatura tra le due,  di  un’area intermedia ubicata sul parallelo Catanzaro- Lamezia. Per le due province ultime nate, Crotone e Vibo Valentia si cerca il famoso centro di gravità permanente  di Battiato che, però, non rappresenterebbe un problema in quanto risolvibile tornando alla geo – morfologia  dell’ ex carrozzone provinciale di Catanzaro.
Il refrain delle Aree Vaste, delle Città Metropolitane, delle Aree Zes , sarà senz’ altro il nuovo cavallo di battaglia di questa classe politica, miope ed incapace, che nell’ ultimo trentennio ha  inumato quintalate di progetti di sviluppo ignorando l’ovvietà: proteggere le risorse naturali, valorizzare il paesaggio, insomma  puntare sul Turismo,  quello vero fatto da imprenditori capaci, non da squallidi  dilettanti,  e da servizi efficienti; sull’ Agricoltura che nell’ ultimo mezzo secolo ha bruciato milioni di denaro premiando faccendieri e manutengoli, tecnici ed amministratori che hanno costruito fortune su iniziative miseramente fallite; e non ultima, bensì,  primus inter pares, un‘ industria di trasformazione dei prodotti agricoli stimolata con la cooperazione, tutelata e  guidata da un team di teste pensanti.
Si è andati invece  in tutt’ altra direzione: al buon Dio che ci ha regalato la mitezza del clima, il mare che fu degli Dei, la terra prodiga di frutti, abbiamo voltato le spalle per puntare su mirabolanti fonti di sviluppo rivelatisi,  alla fin fine,  cattedrali nel deserto,  oniriche visioni, offuscate da  quel sole, impietoso, che dall’ est infuocato, mette a nudo la pochezza di chi avrebbe dovuto creare reali prospettive di sviluppo.  Con una aggravante: non aver fatto nulla  per metter freno all’ emorragia delle  giovani risorse che, giorno dopo giorno, emigrano verso altri lidi. E  non è disfattismo ipotizzare che quello della diaspora costante ed inevitabile è, insieme ai tanti,  forse il problema più grave della nostra terra.
Ciò detto, fatti  i dovuti scongiuri e messa  la testa a buon partito – quindi  valutati i guasti provocati  ad oggi – si pone, perentoriamente,  mettere la barra dritta verso un ricambio generazionale della classe politica in auge incapace di progettare e costruire il futuro.
Mi lasciano, pertanto, completamente indifferente gli annunciati motivetti che saranno cantati e fischiettati  nella campagna elettorale delle prossime elezioni regionali, cioè  le annunciate  Aree vaste,  le Città Metropolitane e  le conurbazioni che già stanno ispirando sonetti e madrigali di aspiranti apprendisti  e rodati ronzini della politica.
Probabilmente è accaduto che si sia dato un significato diverso alla legge Del Rio nr. 56 del 2014, finalizzata semplicemente alla  rimodulazione e riallocazione del personale esuberante dopo l’abolizione delle amministrazioni provinciali, da utilizzare nelle nascenti Città Metropolitane ed Aree Vaste.
Ciò ha dato la stura ad una ridda di ipotesi : tre aree vaste (nord, centro, sud), due città metropolitane, conurbazioni a tutto spiano, città mediterranee…  tutto parto di fantasie fertili, use a costruire inutili mausolei del nulla.
Quale, invece, la realtà? Nella langa calabra esistono 404 comuni. Mi permetto di dire senza identità, senza un piano di sviluppo: agricolo, urbano, turistico, salutistico che sia. Cosa questa che ha comportato lo smarrimento della sua matrice ed il non raggiungimento di un obiettivo nemmeno ipotizzato. Ci sono comuni – tanti a distanza di uno sputo l’un dall’altro – che si sono perduti lungo la “suicida scia dell’ individualismo” e del campanilismo tipicamente meridionale, servito ad alimentare solo interessi  personali  e costruire carriere.  Ci sono casi eclatanti di enti comunali, l’un vicino all’ altro, che chiedono, ad esempio, lo stadio o il depuratore o una strada di collegamento, una guardia medica o una qualsiasi infrastruttura che, ben ubicata,  potrebbe essere di servizio  a più comuni.
In una situazione di questo genere, dove latitano strategie e piani attuativi,  è legittimo avere dubbi che aree vaste e  città metropolitane, allo stato, siano solo trovate elettorali?
E’ legittimo pensare che, rebus sic  stantibus, questa probabile,  ipotetica rivoluzione copernicana non porterebbe da nessuna parte? Nessun dorma, ne vedremo delle belle.