Lamezia
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Poi, poi tuonò e dal cielo piovve tanto di quello sterco sulla città lametina, già detentrice di tristi primati – tre scioglimenti del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, estorsioni, racket e fatti di sangue e droga a go … go – che gli han procurato il marchio indelebile di città mafiosa.
Ma non c’è mai la parola fine in questo palio del malaffare, alimentato e gestito dal triste connubio tra politici e cosche locali, sempre più rigogliose e forti, sempre più presenti laddòve “ gira” denaro pubblico.
Non sarà sfuggito ad alcuno il fatto che sia la nota di Antonello Cristiano, pubblicata ieri, che questa mia sono titolate in inglese, proprio io che non ho mai nutrito simpatia per l’uso della lingua dei cugini d’oltre Manica, così come dei dirimpettai mediterranei!
Ciò si giustifica per due ordini di motivi: primo, quanto accaduto ha avuto risonanza urbi et orbi tanto che i media, italiani ed esteri, han “pasteggiato” abbondantemente in quanto non accade mica tutti i giorni che gli ‘ndranghetisti avessero le chiavi per accedere ai reparti dell’ospedale e, forse anche ai sistemi informatici; secondo, oggi il mio orgoglio di lametino prima, e di calabrese dopo, mi colloca tre passi sopra il cielo ed io sono fiero ed orgoglioso, come il papero di disneyana memoria, perché la mia città è riuscita a varcare gli angusti, patri confini.
Vedi lettore, non lo sto facendo apposta, ma oggi serpeggia in me l’ironia di Montgomery e la dura concretezza di Patton. Oggi riscopro in me, forse stimolato dalle letture sulla gran guer – di cui ricorre il centenario – e dalle parole dolci ed accomodanti di Mattarella, uno spirito d i appartenenza mai avvertito prima. Ebbene, io lametino sono orgoglioso di esserlo, perché?
C’è forse qualcuno al mondo che può vantare, dalla nascita alla morte, su un’ assistenza sanitaria puntuale e costante durante il cammin della sua vita ed, al momento della resa dei conti con il Padre dei padri, su angelici ed amorosi volti che ti conducono da Caronte, traghettatore dell’Ade e psicopompo, che trasporta le anime dei morti da una riva all’altra?
Non credo ci sia su tutto il territorio della penisola italiana – senza far torto a nessuno, essendo il fenomeno generale e diffuso – un’organizzazione così perfetta come quella lametina, che possa vantare recondite armonie di bellezze diverse, in un business conciliante le diverse esigenze delle parti presenti
– politici e mafiosi – nello sceneggiato “Nella vita ed oltre la fine…” se fine c’è. Lo share è alle stelle e la carta stampata è andata a ruba perché ognuno ha voluto conservare le foto dei suoi eroi.
Il sistema operante non è rigido, può recepire, anzi, qualsiasi variante dettata da contingenze particolari, ma la struttura resta ferma, i paletti ben piantati e le antiche tre regole del diritto romano rispettate allo spasimo : honeste vivere, alterum non ledere, unicuique suum tribuere.
E la nostra fortuna è stata quella di avere avuto un ottimo dispencer che ha saputo conciliare le esigenze e gli appetiti di tutti i partecipanti al lauto pasto regolamentando dalla distribuzione della crema da barba ai pannoloni, dai trasporti in ambulanza alle esequie dei malcapitati chiamati alla casa del Padre, soddisfacendo gli appetiti dei lupi famelici, senza mai venir meno agli impegni primari dei ruoli ricoperti, durante le varie legislature di cui ha fatto parte, in verità in termini non lusinghieri e che alla fine , gli han procurato, tra l’altro, l’incriminazione per abuso di ufficio con l’aggravante mafiosa.
In questo grande mosaico vengono inserite le tessere nel momento “giusto”, in linea alle diverse esigenze che vanno a determinarsi, ma perfettamente eque nelle spettanze di ciascuna parte contraente dello scellerato connubio. E’ qui che trovano accoglimento e sistemazione mafiosi e politici, ciascun per sé, ma con un unico intento: fottere il prossimo; è qui che albergano postulanti, faccendieri e perdigiorno , quelli che cambiano bandiera a seconda dello spirar del vento, sempre pronti ad assecondare ogni sibilar del peto a seconda del cul di provenienza.
Ma questa santa alleanza mafia e politica – l’una a scopo di lucro e l’altra per avere garantiti consensi elettorali – è nata oggi o è una perpetuazione di accadimenti sempre avvenuti? Il nosocomio lametino è stato ed è l’unico teatro di operazioni dove le anime gemelle soddisfano i loro appetiti ?
L’inchiesta giudiziaria aperta, denominata Quinta bolgia, fa riferimento all’Inferno dantesco, dove il sommo poeta colloca i barattieri: coloro i quali, sono immersi in un lago di pece bollente avendo essi, tratto profitti illeciti dalle loro cariche pubbliche e dalla loro astuzia truffaldina.
Nella quinta bolgia dell’inferno lametino il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha puntato il dito accusatore sul connubio politica – ndrangheta di casa nostra, procedendo a 24 arresti, di cui 12 domiciliari, tra politici sul viale del tramonto, manager e portaborse del servizio sanitario calabrese, squallidi figuranti e comparse di necrofori prestanomi delle cosche locali.
Un triste connubio – che dura dalla notte dei tempi – tra politica e mafia, che ognuno finge di non conoscere, ma che avalla nel segreto delle urne.
I nomi, cari lettori, son quelli che abbiamo sempre fatto. Leggeteli sui quotidiani dalle mezze o distorte verità. Io, oggi, li taccio a bella posta, perché son quelli che, malgrado tutto, avete sempre votato.