Dietro tutte le frasi di forza che troneggiano sui profili sociali dei giovani millenials (rifritture e propaggini del vecchio carpe diem, tipo: la vita è l’essenza del momento o non esiste altro eterno che l’attimo) deve leggersi in filigrana il più banale degli slogan commerciali: cogli l’attimo, fai subito il tuo acquisto.
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Tempi amari: si invoca come estremo rimedio un’aperta dittatura perché la rivolta abbia un punto preciso in cui colpire. Si invoca un male divenuto carne.
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Una prova inconfutabile dell’attuale tendenza allo sradicamento: i viaggi divengono sempre più low cost, mentre gli appartamenti sempre più costosi.
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Troika o la cagna a tre teste guardiana degli inferi finanziari.
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Gli zombie hanno inflazionato tutto. Li si ritrova finanche nelle reclàme delle brioches. Abbiamo sottocchio il meglio che possano offrirci i tempi avvenire: un’immortalità sgarrupata.
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A proposito d’immortalità: la scienza presa per il bavero e scrollata ben bene potrà una buona volta rendercela questa caramella, ma si porrebbe fin da subito, a parte gli altri inevitabili logismi, il problema della sovrappopolazione. Anche mille nascituri all’anno in tutto l’intero globo sarebbero di troppo… Ovvio che dovrebbero imporsi delle ferree politiche maltusiane. Tuttavia il business eutanasico avrebbe oramai raggiunto un tale livello performativo che, senza alcuna vessazione, provvederebbe ampiamente a livellarci, e, se necessario, ad estinguerci totalmente.
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Il debito pubblico, che fanno gravare forzatamente sulla testa di ogni nascituro, è l’avanguardia del peccato originale; ma nessun Cristo banchiere verrà mai fra noi a redimerci da questa “colpa infelice”.
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Se l’universo è infinito il suo centro è dovunque. Ecco la ragione di tanta superbia diffusa.
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Anche l’inglese è superato. Si va oltre. È necessaria la conoscenza di altri idiomi, il cinese ad esempio… Larghe vedute o meno, le lingue si muovono in funzione del capitale prima ancora che della cultura.
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L’usanza dei giovani di coltivare baffi e barbe spropositate ben si addice a quest’era di “volatilizzazione del Padre”. I peli sul viso rappresentano un feticcio o uno spostamento. Attraverso di essi ciascuno può divenire il padre di sé stesso. Quale più grande autonomia psichica ed emancipazione del desiderio?
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« Un uomo in una notte di dicembre, solo nella sua casa, sente il terrore della sua solitudine. Pensa che fuori degli uomini forse muoiono di freddo: ed esce per salvarli. Al mattino quando ritorna, solo, trova sulla sua porta una donna, morta assiderata. E si uccide. » Questo frammento di Dino Campana esprime in modo simmetricamente ineccepibile le attuali politiche immigratorie europee, l’umanitarismo punzonato O.N.G. e quant’altro. Meno ovviamente il suicidio da rimorso: la loro faccia tosta li autoesclude in anticipo da ogni senso di responsabilità per l’impulsiva escursione, che spesso, per vie traverse, costa più vite di quante ne aggiunge. Giusta e santa è la missione di accogliere l’ “infinito Altro” ma ciò non deve essere il ripiego impotente di chi non sa mettere a posto i propri conti, nè un modo per fare del chiasso umanitario o di sedare il grido della coscienza.La massaia che tralascia la pulizie di casa propria per dedicarsi anima e corpo a quella degli altri non è certo virtuosa. Il fatto poi che lo faccia dietro corrispettivo non è un’attenuante, ma un’aggravante.
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La ministra Fornero disse una volta che i giovani, lavorativamente parlando, non devono essere choosy, termine anglofono che suonava antipaticissimo sulle sue labbra. e che io sulle prime non afferrai, anzi oscillai nella sua interpretazione uditiva fra “chiusi” e “ottusi”. Il che non interpolava di troppo il suo autentico significato che stava per: pignoli, schizzinosi, choosy.
A ben vedere lo scopo di quella parola (come di tante altre, rassegnate e funeste) era quello di demoralizzare sul nascere ogni istanza sindacale, ammesso a quel punto potesse esisterne ancora qualcuna.
La macchina del cattivo infinito era già in atto da un pezzo e non si è ancora arrestata. Dieci ore lavorative al giorno vi paiono troppe? Choosy… Undici?… Choosy… Dodici?… Choosy… Lo stesso dicasi per i salari, ma al ribasso. Il guaio è che da quando è stata dimessa come arnese inservibile la lotta di classe, l’unica parte in gioco è la nostra, ed è rosa fino all’osso dai sensi di colpa.
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La finanza, da qualsiasi lato la si consideri, non è che una sovrastruttura abusiva, un modo capzioso per spostare arbitrariamente la vera ricchezza prodotta dal lavoro sul versante della non produzione, assumendo le sembianza ineluttabili e sinistre di un fato, Dio sa quanto aleatorio. Sarebbe logico disprezzarla anziché lasciarsi dondolare dalle sue fluttuazioni. È infatti un gioco tutto umano, più simile alle carte che agli scacchi, ma i cui veri sconfitti, sempre esterni al gioco, muoiono sul serio. Oppure: è un gioco d’azzardo comprensivo di bluff e di finte, di spiate e di strizzate d’occhio, lo si riconosce sempre più in quei perimetri “capricciosi” e pseudoscientifici che fanno capo alle agenzie di rating. Ma chi ne paga il rischio sono i terzi, i semplici spettatori che per lo più ignorano la canasta e il machiavelli. Dobbiamo quindi cominciare col ridiscutere la necessità del gioco in sé. E poi non scordiamo che, nonostante l’apparente assurdità, sono ancora gli ultimi a tenere le redini del gioco: il denaro, per quanto promessa di ebbrezza, non potrà mai concretare quest’ultima senza il lavoro del povero viticoltore. Che il denaro mantenga o meno la sua promessa di beni, senza i quali è vuoto valore esornativo, sta sempre al nostro lavoro di produzione. Chi ha orecchie intenda.