Renato Borelli
Non sono mai stato superstizioso, non credo alla cabala ed a tutto quel mondo che gira attorno ad essa. Ma, sarà l’effetto dell’ incipiente terza età, certo è che alcuni accadimenti mettono in crisi le mie convinzioni di sempre: concretezza e tangibile realtà, sempre e comunque.
Però… quando accade che la giornata del 17 dicembre, obbligatoria per legge, dedicata in Regione Calabria alla Trasparenza, viene sconvolta da uno tsumani, Lande desolate, quello che ha investito i vertici istituzionali – Oliverio ed i responsabili dei dipartimenti Lavori Pubblici e Programmazione – qualche dubbio, anche se fugace, mi assale.
Non sono giustizialista né tanto meno garantista, però considerato che la DDA di Catanzaro è giunta alla conclusione di chiedere l’emissione di 16 provvedimenti restrittivi e “l’obbligo di dimora” per il governatore Oliverio, per abuso di potere esercitato in due precise vicende – avio superficie di Scalea e gli impianti sciistici di Lorica – ritengo che la cabala non abbia alcun peso sulle umane vicende.
Amici lettori, Operazione Lande non è l’ultima ciliegina sulla torta, bensì l’ultimo ritocco ad una “crostata” farcita di tante ciliegine, collezionate nell’anno che sta volgendo al termine: tante, a dire il vero, con un unico comune denominatore, il connubio tra politica, ‘ndrangheta e colletti bianchi. Sembrerebbe che l’architrave del meccanismo democratico di Pericle sia andato a farsi fottere; pertanto non ci resterebbe altro che archiviare, nel pesante faldone dei sogni dorati, un altro anno che si chiude con l’insegna del “niente da registrare” se non l’aggravio di lavoro per magistrati ed operatori della Giustizia.
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La Redazione di Lamezia 3.0
A che cosa serve un anno che se ne va? I nichilisti dicono: è sempre la stessa solfa, tiriamo avanti; i liturgisti cantano il Te Deum e i retrospicienti (lasciateci passare il termine araldico) attendono al consueto bilancio, notomizzando minuziosamente il ciò che era e il ciò che poteva essere.
In anticipo sul tripudio pirico di Capodanno ne sono già scoppiati di petardi, senza contare che lo stomaco dei più, avvezzo a una disparatissima gamma di sapori, alle cotte e alle crude, non reclama ormai che pane e cipolla… e proprio qui sta l’inghippo, la grande fregatura dei tempi. Anche se il palato non soccorre più nella pratica di sceverare il buono dal rancido restano altre facoltà. Quella di arrabbiarsi, verbigrazia.
Talvolta nelle verbali arature che solcano questo foglio sarà parso che un cinismo eccessivo dispiegasse il suo ghigno di anatema e di non certo atarassica rassegnazione, e di ciò chiediamo umilmente venia.
Le connivenze assurde, la cattiva coscienza e la pessima politica che abbiamo ingurgitato richiedevano la giusta sinfonia. Non per questo si acuirà la nostra piaga, al contrario, finché il dolore sarà dolore eloquente terrà viva e legittima la sua speranza di guarigione toccando ciò che in noi è ancora vivo, fomentandoci e tenendoci desti per quando i tempi insani permetteranno di agire materialmente. Nel nostro caso è paradossalmente il silenzio a valere come dimessa e sterile rassegnazione. Lasciate che si scuotano fragorosamente le catene.
Finora gli avversi hanno tenuto banco, ma non è superfluo asserire che, nonostante le passate scuffie, si può sempre acchiappare la fortuna per il toupet. Se poi qui non si tratta di fortuna, ma di volontà, capirete.
A mio avviso è l’ora che ci si occupi veramente tutti di politica. Il che non significa necessariamente seminare pugni di santini con la propria effigie: troppe cantonate abbiamo preso in tal senso. Dobbiamo sforzarci di capire i tempi, di passare per la porta stretta. Ormai non è più soltanto la legge a non ammettere ignoranza, ma tutta l’esistenza in sé.
Anziché svenderci, come vuole Sua Santità la Concorrenza, dobbiamo innalzare a livello esponenziale il nostro prezzo, e per giunta, nelle trattazioni, cacciare fuori una sanissima dose di strafottenza. Vorrei che in ogni comizio, convegno o lectio magistralis, ovunque ci si impanchi in nome della Democrazia, si vituperassero con santa arroganza tutti i politici luoghi comuni che ci assediano da anni e sotto la cui presa letargica ed ipnotica abbiamo deposto il bene dell’intelletto.
Per finire dobbiamo dialogare con la politica come gli agnostici dialogano con Dio: Dimostrami che esisti veramente e i miei “voti” andranno a te. Se anche domani dovesse giungere il Dies Irae ci trovi, perlomeno, tutti svegli e fattivi.
Frattanto la redazione ha il piacere di augurare ai suoi lettori un Natale bello e santo come quello d’altri tempi e in compenso un anno veramente inedito e testimone di migliori cronache.