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AUTONOMIA DELLE REGIONI ? Quella proposta è una secessione politica e culturale !

Quasi cent’anni fa il filosofo Benedetto Croce  definì il sud, in un suo intervento,  “un paradiso abitato da diavoli”. Mi permetto di aggiungere… poveri, perché tali  eravamo e tali siamo.
In tutto ciò sorprende, e non poco, che  mentre altri grandi stati europei sono riusciti a ricucire i loro territori e renderli un tutt’uno in tema di sviluppo socio economico – vedi Germania, Francia ed Inghilterra – il  nostro Paese sembra aver fissato il suo confine geografico esattamente sullo stesso parallelo che delimitò il Regno delle due Sicilie dal   1816 al 1861, data quest’ultima che avrebbe dovuto, invece, sacramentare l’Italia unita, tesa e coesa al raggiungimento di una vita migliore per tutti gli abitanti del territorio.
Ciò non accadde,  anzi  l’unificazione risorgimentale comportò un grande esodo di  ricchezza dal sud al nord,  sia in termini economici che umani, dando luogo ad una diaspora che fino ad oggi non ha avuto mai fine.
Ebbene, dopo un secolo e mezzo di questione meridionale– sulla quale gli strizzacervelli hanno versato fiumi di inchiostro – ne ho abbastanza e non intendo unirmi al coro. Ma ciò non mi esime, avvertendo un vorticoso fastidio agli “zebedei”,dal raccomandare a quegli ignorantelli, depositari delle grandi verità, che addirittura parlano di incapacità “genetica” dei  meridionali – un ripasso della storia d’Italia.
Intanto mentre le migliori menti, affaticate, studiano come meglio fare per far danno,  il  Sud sta scomparendo completamente dalle scene.  Nord e Sud, infatti,  sono due Paesi diversi, e il Sud sta tre volte peggio.
Lo certifica l’Istat: tasso di disoccupazione al 19% circa, tre volte superiore a quello del Nord (7% ) e circa il doppio di quello del Centro (10%); bassi salari, produttività insignificante, piccola e media industria respirano con l’affanno, crollo demografico, fuga dei cervelli migliori, desertificazione industriale, interi paesi abbandonati… insomma una fetta del Paese in spe, acronimo che sta per sottosviluppo permanente effettivo, dove  il malessere ed il rischio di cadere in povertà è N elevato ad esponente 3.
Ciò fa dire a Pino Aprile, che ben conosce il meridione che “il Sud ha votato in blocco i Cinque Stelle perché si è rotto i c….”.
Invero è questo il risultato di 150 anni di saccheggi e di malapolitica. “Il mezzogiorno voterebbe anche Belzebù – egli aggiunge– pur di non votare quelli che ci sono. E si dovrebbe ringraziare il cielo che questo è un Paese civile, altrove sarebbero già andati a prenderli con i forconi”.
E le cose vanno di male in peggio con quanto si appresta a fare il governo in carica con l’approvazione del decreto sulla “Autonomia differenziata”– definito da più parti come il decreto Spacca Italia – che interessa  Veneto, Lombardia, Emilia e Romagna e Piemonte.

La Costituzione italiana, infatti, all’art. 116 dispone che lo Stato possa attribuire alle Regioni a statuto ordinario particolari condizioni di autonomia definite come “regionalismo differenziato”.
Le regioni che godono di questa autonomia hanno pertanto la possibilità di vedersi attribuiti poteri diversirispetto alle 23 “materie” elencate nel successivo art. 117.
Quelle più  rilevanti sono fisco, fiscalità locale, sanità, infrastrutture, trasporti, istruzione e beni culturali, ambiente e giustizia di pace.
Il decreto contiene 56 articoli con centinaia di commi ed altri ancora da scrivere. Già sconvolgenti sono le quattordici parole contenute nella premessa: il fabbisogno standard di istruzione, sanità e di tutte le 23 materie che lo Stato cederà alle Regioni va calcolato in relazione alla popolazione residente e al gettito di tributi maturato nel territorio regionale.
Ebbene nella storia dell’Italia repubblicana il censo, cioè la capacità fiscale ed il numero degli abitanti non hanno mai avuto peso e misura  per la determinazione del fabbisogno,  per esempio cito  sanità o istruzione, di ogni singola regione.
E’ chiaro ed evidente che si vuole sfasciare il paese e fondare staterelli egemoni ed egoisti.  E non penso di essere lontano dalla realtà nel dire che allo stato, pur senza decreto della Autonomia,  contiamo 20 Sanità quante sono le regioni.
In questo contesto è lapalissiano  che le regioni più povere, quelle appartenenti all’ ex  Regno delle due Sicilie, escano definitivamente di scena  e da opportunità di sviluppo per il Paese intero, diventino il più  grande rimorso italiano.
Checché se ne dica si paventa il ritorno alle due Italie, ai cittadini di serie A e di serie B, malgrado si manifesti l’intenzione di tenere in grande considerazione le ragioni del Sud.
E che siano soltanto parole è dimostrato dal fatto che quelle regioni che si definiscono efficienti,  già da tempo, chiedono l’introduzione del costo standard, criterio secondo il quale se, per es.  il costo standard è 60 e la regione ne spende 100, la differenza ricade sui cittadini che, ulteriormente vessati con nuovi balzelli,  devono colmare la differenza.

Immaginate, buona gente, cosa succederebbe nella virtuosa Regione Calabria, che non brilla, poveri noi, di luce propria bensì di conferimenti del Governo centrale, malgrado il nostro governatore gioisca per qualche centesimo in più di Pil, dimentichino,  però, di essere alla guida di una regione, da sempre,  inchiodata al palo. Chissà perché.