Vai al contenuto

SUD, UN VULCANO CHE STA PER ESPLODERE Cercasi un Masaniello o, in alternativa, un Robespierre

Solo  ciechi e sordi,  opportunisti e  faccendieri della politica non hanno preso in considerazione il vero messaggio venuto fuori dalle urne del 4 marzo 2018: i risultati sono stati così dirompenti da  tradursi  in un radicale mutamento della geografia politica e da sovvertire quel sempiterno bipolarismo che è stato il leitmotiv della prima e della seconda repubblica.
Politologi e strizzacervelli, analizzando l’espressione del voto di noi altri spettatori / elettori, hanno rilevato una grande volatilità (stima di quanti  hanno votato una formazione politica diversa rispetto all’elezione precedente); un elettorato liquido in quanto la fedeltà partitica è roba, ormai, da libro Cuore.
La nostra Italietta, comunque, in barba a tutti i sondaggi ed alle approfondite analisi effettuate, ha assunto una colorazione diversa dal passato: completamente scomparsa la zona rossa, il nord si è tinto di verde, mentre il centro sud ha fatto suo il giallo canarino, sacramentando così  due Italie, distinte e separate,  ma tanto distanti per condizioni socio – economiche e perpetuando, con supina accettazione, quella affermazione vaga e generica – diventata ormai assioma – che vuole il sud sempre nella palude.
Può sembrare un’ iperbole – ma il Cristo di Levi fermato ad Eboli, è rimasto lì, se ancora oggi Nord e Sud sono due Paesi diversi ed il Sud sta tre volte peggio ed il malessere si è triplicato;  malgrado i nobili intenti della Cassa del Mezzogiorno, ente pubblico creato da De Gasperi e Saraceno nel 1950 e naufragato, con infamia e senza gloria, come AgenSud, nel 1992!
Non è il caso che ponga l’accento sui risultati raggiunti dall’ente preposto alla promozione ed allo sviluppo del Mezzogiorno, ma per chi avesse la memoria corta giova ricordare che, dall’inizio dell’operatività, correva il 1991,  Casmez ed AgenSud  hanno elargito circa  83 mld £.  per la realizzazione di 16.000 Km. di collegamenti stradali, 23.000 Km. di acquedotti, 40.000 Km. di reti elettriche, 1660 scuole e 160 ospedali. Giova ricordare, anche,  che la politicizzazione degli apparati comportò fenomeni diffusi di bassa qualità di spesa, di degrado e di illegalità, di finanziamenti ad imprenditori fantasmi e di appalti giganteschi per infrastrutture completamente estranee alle realtà economiche del Sud, quelle  che furono denominate cattedrali nel deserto.
E la manna dal cielo, per politici e sostenitori, ebbe termine nel 1993 ed il compito di “coordinare e programmare l’azione di intervento pubblico nelle aree economicamente depresse“ fu affidato al Ministero dell’economia e delle finanze.
A tirar le somme certamente non hanno giovato al Mezzogiorno né i finanziamenti a pioggia né la politica clientelare ed assistenziale, né tantomeno  l’abolizione perentoria della Casmez che finì col determinare una situazione generale di crisi coinvolgente quei pochi settori produttivi ancora in piedi.
Il resto è storia recente: la legge nr. 488 del dicembre ’92, formulata in chiave europea, per disciplinare la nuova politica di incentivazione per le aree sottosviluppate, ha iniziato a funzionare nel 1996 producendo il niente di niente e di sviluppo del Mezzogiorno si è ricominciato a parlare,  solo parlare con la programmazione comunitaria 2007 – 2013.
Ad oggi i dati economici relativi al divario economico e sociale tra Nord e Sud – graziosamente definito triste eredità del processo risorgimentale –  è ulteriormente cresciuto. L’ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha confrontato i risultati di quattro importanti indicatori – pil pro capite, tasso di occupazione, tasso di disoccupazione e rischio di povertà – non sono assolutamente confortanti.
Dal 2007, anno da cui si fa partire la crisi economica, il gap è aumentato su tutti i fronti: il sud è fuori dalla storia e dalla ragione ed  è fermo nell’immobilità del tempo trascorso; il nord è galoppante ed attraversato da tentazioni secessioniste, come non molto larvatamente espresso nell’abortita bozza del decreto relativo alle autonomie regionali.
Fin qui quanto avvenuto nella realtà e quanto vani e mendaci siano stati i posticci programmi politici confezionati  in occasione delle varie tornate elettorali, tutti ubbidienti ad un mantra: chi sfonda al Sud, vincerà le elezioni; convincimento che trova la sua origine nella notte dei tempi e di cui fece tesoro  la balena bianca, l’ex Democrazia Cristiana, così come i competitor ad essa succeduti, così come i gialloverdi  che oggi calcano le scene politiche.
Ma quanto Sud c’è nelle promesse dei politici che hanno mietuto abbondantemente le ultime messi elettorali?


Un pertugio manda all’ortiche le intese del governo del cambiamento


di Antonello Cristiano


Certo che sentirsi parlare puntualmente di barconi e di tratti più o meno marginali di alta velocità, sotto questa spera ustionante di sfarzosa decadenza, d’avanti a queste corbe di vimini dentro cui, se non ci venisse reciso il midollo spinale, potremmo vedere giocosamente rotolare i nostri capi da un momento all’altro, è roba da suscitare le omeriche risate, se non una semplice appendice sportivo-identitaria tanto per accapigliarci bonariamente fra amici in qualche bettola. Il Dio Progresso lanciato a piè sospinto nella vertigine dell’Alta Velocità, come nella satanica vaporiera del Carducci, è da secoli il ritrovato lazzaronesco per far entrare dalla postierla o dal retrobottega orde di diavoli con tromboni e roncigli, mentre ammiriamo in perfetto oblio la cerimoniosa apertura delle Porte Sante.
La polpetta avvelenata è pronta, ben panata d’ideale ma ripiena dell’amara stricnina dei privati tornaconti.
Così è tutto un traforo, da quello della Tav a quello più in grande del progetto europeo, fino a quello persistente e martellante delle nostre meningi.
Sarò pure disfattista, ma un governo che vuole e svuole come lo sfintere dei bimbi freudiani e che sperpera il suo aut aut su qualcosa di ridevole utilità per il popolo in genere, glissando sull’unico e solo problema che renderebbe vano tutto il resto, non ha davvero più luogo a procedere.
Lo dico mio malgrado e con la dolorosa certezza che in esso sia comunque confluito il meno peggio.
La simpatia per il commissario Montalbano e le speranze per il PD saranno mantenute, spero, in netto contrasto.
Si strepita, si schiamazza in una guerra di bottoni, si cerca disperati posizione e antagonismo dove non c’è più distinzione, dove si è tutti disciolti nello stesso identico impasto di rassegnazione. Scannarci per quisquilie è dunque meglio che macerarci nella silenziosa disperazione?
Più che la Tav è ora di accettare di buon grado il Tavor.

Tralascio i programmi/promesse delle forze politiche presenti all’ultimo agone elettorale che non si sono discostati dal solito clichet e mi soffermo, invece sul  contratto di governo tra i Pentastellati ed i Leghisti – vincitori del 4 marzo ’18 – stilato in 27 punti che prendono in considerazione tutto ed al 25°, relativamente al Sud, è scritto: “non sono individuate misure specifiche  perché tutte le scelte politiche previste dal contratto sono adeguate ad uno sviluppo economico per il Paese”.
Parole vaghe e generiche che lasciano intuire una verità tutta italiana: tutto cambia perché nulla cambi. Ossia se tutto cambia esteriormente, tutto rimane com’è; se tutto rimane com’è, tutto può cambiare interiormente. Sublime pensiero di Tomasi di Lampedusa.
Ed i nodi son già al pettine, ne parla in questa stessa pagina il nostro Antonello Cristiano.
E’ chiaro ed evidente che la situazione socio economica del Sud, ultima ruota del carro nello sviluppo del Paese, ora addirittura scomparso  dai programmi politici dei partiti, non è più sostenibile, tant’ è che gli elettori sudisti, enervè et desespère – elegante perifrasi francese per non chiamare in causa preziosi organi – hanno già dato, democratici segni di insofferenza almeno in due occasioni: il 4 dicembre 2016 votando in massa contro il governo di Matteo il Toscano per il no al referendum sulla Costituzione; il 4 marzo ’18 polverizzando i partiti tradizionali e sconvolgendo la geografia politica del Paese.
E’ chiaro ed evidente che “l’eterna quistione” meridionale non interessa più a nessuno: è diventata solo una locandina da utilizzare a scopi elettorali o argomento di qualche bavoso talk show. Proprio per questo il Sud intero è un vulcano che un giorno o l’altro esploderà, avendo ben chiaro che gli uomini che lo rappresentano perseguono quasi solamente interessi personali e particolari; ben consapevole non prende in considerazione il Fronte del Sud  di Matteo il Padano, preoccupato di altri problemi che non sono lo sviluppo del Meridione; non tiene conto delle esternazioni di De Magistris, sindaco di Napoli, non intendo costruire la Lega del Sud ma chiedo un rafforzamento delle autonomie regionali; non pensa nemmeno ad Emiliano o alle giravolte di De Luca assurto agli onori della cronaca più per le imitazioni di Crozza che per intrinseci valori; non ascolta il canto delle sirene di Orlando o di Miccichè e men che meno dell’esiliato calabro Oliverio.
Sono questi uomini, appartenenti ai vecchi partiti, che per rimanere a galla dovranno mascherarsi sotto liste civiche. Comunque essi fanno parte di quella classe politica poco interessata a quella parte di Italia che, più di tutte, ha un disperato bisogno di aiuto.
L’unica via di uscita a siffatta situazione è, pertanto, metter senno e dar vita ad un movimento, ad un partito che tenga fuori le vecchie glorie, da destinare solo alle arche dei cimiteri politici,  ed individuare  un Masaniello, tanto  per restare a casa nostra, in grado di avviare un processo di rinnovamento e di riscossa per una parte d’Italia gabellata per un secolo e mezzo da ciarlatani e pifferai.
Qualora non trovassimo un Tommaso Aniello, solo in via subordinata, potremmo chiedere un Robespierre ai cugini d’Oltralpe. Per non confondere le idee a nessuno il logo potrebbe essere “Sud, Riscossa e Rinascita”.
Astenersi ominicchi e quacqaraquà.