Un’autentica genialata, di cui solo un poeta come Valerio Magrelli poteva essere il degno trovatore, paragonava la politica italiana ad un paio di guanti: destro e sinistro. Il sinistro alla fine si rivolta (il suo dentro diventa il fuori): e così ecco due perfetti guanti destri. La succitata poesia, per quanto ingenerosa, nutre comunque troppa fiducia nella situazione attuale, poichè non esiste in verità nessun polo destro, come non esiste nessun polo sinistro; accantoniamo la bidimensionalità di questo tabellone tipo monopoli o gioco dell’oca, e facciamoci una bella doccia di virtualità.
Squarciato finalmente il velo del tempio, deposti i ninnoli e le suppellettili, disinnescate nei tristi commissariamenti finanziari alla Monti le gherminelle democratiche, compresi i giri di boa ed i serpentoni metamorfici della classe politica propriamente detta, non rimangono in bella vista che le aride ossa della struttura.
A chi domanda se siano mai esistite una destra e una sinistra, rispondo: si, sono esistite, ed hanno avuto reali conseguenze, ma la storia è un rullo compressore, o meglio un tritasassi che riduce il tutto al minimo comun denominatore, e si comprende bene che i poli debbano essere orientati ex novo, ridistribuiti su un altro piano filosofico che preveda da una parte l’umanesimo e nella controparte il neoliberismo.
L’umanesimo fu nei secoli passati la riduzione della natura ostile alla misura umana; attraverso le arti e le dottrine il mondo fu informato lentamente all’umanità, fu foggiato a sua immagine e piegato al suo servizio. L’uomo fu il centro, l’a priori dell’universalità, con tutte le aberrazioni e i fraintendimenti che ciò poteva comportare, ove fraintendimenti e aberrazioni sono lo scotto inevitabile nell’assestamento di una sana dottrina.
Il neoliberismo è il contrario speculare dell’umanesimo, ossia l’adattamento o deformazione dell’umanità a una determinata ideologia, la sua costrizione ortopedica al letto di Procuste delle invenzioni finanziarie e mercatali. Non più l’uomo centrato, ma l’uomo decentrato.
Così squadernando le pagine web, si può incappare in squisitezze memorabili, dove non si sa verso quale lato scodinzoli la follia.
Su Okpedia, ad esempio, alla voce “disoccupazione strutturale” si individua fra le varie cause di questa l’azione dei sindacati, poichè: “Quando il potere di contrattazione del sindacato è molto forte, questo potrebbe spingere verso un salario minimo garantito superiore al salario di equilibrio, creando delle distorsioni sul mercato di lavoro e contribuendo alla formazione della disoccupazione”.
L’affermazione dice chiaramente: “La colpa è delle vostre istanze. Lasciate fare ai mercati”. Non ci sembra di aver già sentito tutto ciò? Risuona chiaramente, inoltre, fra le sillabe di questa loro grammatica funesta, che dove non esiste istanza (non lasciamoci abbindolare, ogni istanza è eccessiva nella loro dialettica) non c’è neppure limite al male, che non cesseranno mai di esigere da noi flessibilità e ribasso, e infine passeranno direttamente al nostro sangue.
Chi non coglie il vento del mutamento è finito. I fantomatici mercati lo puniranno. Guai ad impiantare misure keynesiane, il sistema andrebbe in default, un sistema calibrato appunto al millesimo per distruggere chiunque muova un passo fuori dal perimetro. Produzione smisurata di moneta, derivati impazziti, merci votate all’obsolescenza prematura in quantità sterminate, ma denaro e lavoro distribuito col contagocce. La loro politica è quella della rarefazione monetaria e il suo scopo è quello di farci stare bene alla cuccia. Salari e occupazione devono stare al ribasso per consentire ad un numerino inventato da Lorsignori di salire. C’è aria di miseria e di suicidio, ma i vari network eruttano i sintomi di una ripresa. I martirologi dovranno contemplare un nuova categoria di martiri: quelli per la Finanza.
Per contrasto, l’umanesimo unito alla tecnologia (che è nata e nasce con l’unico scopo di redimere l’uomo) avrebbe condotto alla graduale riduzione delle ore lavorative (beninteso, a parità di stipendio), anzichè alla disoccupazione strutturale, e agli aut aut di matrice sindacale: certo, lavoriamo meno, lavoriamo tutti, così come incalza il vecchio motto, ma senza cessioni di sorta, o ripercussioni inflazionistiche, anzi mantenendo saldamente le piante dei piedi su una scala mobile salariale, quella che ci fu sottratta nei primi anni novanta dal governo Amato.
Può forse suscitare un riso di sufficienza o di puro scherno l’idea di lavorare solamente per 2 ore giornaliere, e per giunta a stipendio pieno, eppure è in questa direzione che stava muovendosi la vera civiltà.
Nelle atmosfere socialisteggianti del primo novecento la coscienza della lotta di classe aveva condotto i lavoratori attraverso scioperi ed istanze sempre più percussive, a “tosare” via via il monte ore, cosicchè gradatamente, dalle 16-14 ore al giorno, si è giunti alle attuali 40 ore settimanali verso il 1972. Più che l’inspiegabile e, pare, definitiva, battuta d’arresto di questa linea virtuosa, sopravvenuta oltre 45 anni fa, giova ricordare che mentre 8 ore giornaliere sembrano oggi un puntino eccessive, un secolo fa avrebbero provocato le stesse risate bonarie che oggi a sua volta susciterebbe il pensiero delle già dette 2 ore lavorative a giornata. Eppure il livello tecnologico e il conseguente elevato quantitativo di produzione a fronte delle sempre minori risorse impiegate, potrebbe darcene il pieno diritto.
È chiaro che da un momento non ben individuabile (autentico vulnus storico) l’uomo abbia perso il suo statuto di primarietà, come è chiaro che il vecchio antropocentrismo, perfettibile quanto si vuole, ma sempre l’optimum di fronte ad altre correnti di pensiero, abbia abdicato in favore di una tecnocrazia che ha destrutturato ogni evoluzione in senso umanistico.
Poiché il poco lavoro che ci propinano è tutto di impronta neoliberista – basta scorrere gli annunci per veder ricorrere ogni tre parole i termini startup, trader o provider: roba che puzza di “saper vendere a qualcuno” lontano un miglio – l’idea di dissodare un campo e di tornare al baratto è sempre meno distante dalla grulleria.
Resta l’amara verità che il mito del “Lavoro che nobilita l’uomo”, è stato per secoli l’arma con cui i padroni ci hanno massacrato, un raffinato strumento di tortura più cruento di un flagello o di un “gatto a nove code” poichè ha influito direttamente sulle coscienze ingannate e mortificate. Il lavoro che nobilitava l’uomo coincideva guarda caso con quello salariale.
Oggi è tutt’altra storia: chi percepisce il reddito di cittadinanza è considerato fannullone, mentre chi gioca in borsa lavora per la produttività.