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MONUMENTO AI CADUTI DI NICASTRO Eseguita “l’operazione candeggio”

Complimenti! Non c’è che dire!
Se lo scopo era quello di fare pulizia, l’operazione è andata a buon fine.
La potremmo definire “Operazione candeggio”.
Il monumento ai Caduti della Guerra ’15-’18 di Nicastro è, da poche settimane a questa parte, come “sbollentato”. I nomi dei caduti si sono dileguati, sono illeggibili. Il marmo, su cui sono incisi i nomi, che per quasi un secolo è rimasto inalterato, quindi con il suo colore naturale, si è prodigiosamente sbianchito, come un lenzuolo. Come appena uscito dalla “bottega del pulito”. Tutti sanno, anche le pietre, che il marmo è un materiale delicato, perché assorbe. È come se respirasse. Ma chi lo dovrebbe sapere, scopriamo che non lo sa.
Nettezza bisognava fare e nettezza è stata ottenuta. Così si fa!
Ora non c’è più bisogno che i nostri scolari e studenti si debbano preoccupare di recarsi al monumento ai Caduti di Nicastro e di perdere tempo prezioso. È sufficiente che i maestri e i professori ne facciano vedere una vecchia fotografia, in cui si conservano i nomi incisi dei poveri caduti. Perché sul monumento, com’è combinato ora, non riuscirebbero a leggerne uno, neanche armati di un binocolo.
D’ora in poi gli appassionati di storia, o quei pochi turisti che transitano per le nostre strade, e che abbiano il desiderio di visitare il monumento di Nicastro, non c’è bisogno che si prendano la briga di raggiungere la villetta in cui è collocato. Perderebbero solo tempo.
Sul finire dello scorso anno il direttore Iannicelli mi telefonò, per informarmi che c’era nell’aria l’idea, da parte non so di chi, di ripulire il Monumento ai Caduti della Grande Guerra, quello di fronte alla Cattedrale.
Risposi che non andava proprio toccato, per due motivi. Uno, perché ero convinto, come lo sono tuttora, che un documento storico sia sotto la tutela dell’autorità competente, i Beni Artistici regionali; l’altro, perché il nostro non è un monumento comune come ce ne sono tanti, ma un’opera d’arte, in quanto realizzato da Vincenzo Ierace, artista calabrese di grande talento, che realizzò altri monumenti ai caduti, oltre che in Calabria, anche in Campania, nel Lazio e in Umbria.
Mi illudevo che si fosse trattato di una semplice voce. Invece no. Chi aveva progettato, si è dato da fare. E le cose hanno avuto seguito, con i risultati che chiunque può constatare recandosi personalmente sul posto. Però consiglio attenzione, perché lo sgomento o la rabbia potrebbero giocare dei brutti scherzi e, di colpo, “restare di marmo”, come quello che ci si trova ora davanti dopo “l’Operazione candeggio”.
Qualcosa mi dice che il sindaco dell’epoca, avv. Caio Fiore Melacrinis, la sua Giunta e l’intero Consiglio Comunale, che vollero a viva forza la realizzazione del monumento e lo inaugurarono nel 1924, stiano rivoltandosi da giorni nella tomba, senza trovare pace. Così anche i poveri caduti, i cui nomi sono svaniti di colpo, e le loro famiglie, che tanto hanno pianto i loro cari morti giovanissimi per la Patria. Altrettanto l’autore valentissimo dell’opera, il sopra menzionato Vincenzo Ierace, che lo ideò, lo progettò e realizzò.
Mi domando:

  1.  ci si è resi, innanzitutto, conto che ci si trova ad avere a che fare con un’opera d’arte;
  2. si è provveduto a chiedere alla Soprintendenza alle Belle Arti di Cosenza se il monumento è sottoposto a tutela, onde ottenere la dovuta autorizzazione e l’invio di personale qualificato;
  3. ammesso che l’autorizzazione sia stata chiesta, se la risposta è stata negativa, si sarebbe o no dovuto riflettere sugli effetti che i prodotti chimici o le abrasioni, o altro ancora, avrebbero potuto provocare.

Considerati i risultati, dubito che chi di dovere si sia posto questi interrogativi, o che se ne sia posti altri da me non menzionati. Altrimenti i risultati sarebbero stati diversi, non quelli, purtroppo, reali.
Io penso che la città di Lamezia sia una città sfortunata. Nata sotto un segno non favorevole e cresciuta sfortunata. E le cose non sono mutate dal 1968, anche se sono trascorsi cinquant’anni e più. I mali a noi, si badi bene, non ci vengono sempre e solo da fuori. Spesso – questa è la cosa strana e paradossale – ci sono venuti e ci continuano a venire, invece, dall’interno. Da noi stessi Lametini. E con il primato di tre scioglimenti ne sappiamo qualcosa.