La Cina di Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare cinese dal 2013, da qualche tempo propone ai Paesi europei l’espansione dei collegamenti ferroviari, stradali e marittimi per velocizzare gli scambi commerciali tra la Cina e l’Europa: un progetto che, attraverso più Paesi dell’Asia e dell’Europa, potenzierebbe le antiche vie di comunicazione che, già molti secoli prima dell’era cristiana, consentivano lo scambio di merci e di idee tra mondi lontani e diversi. Dopo l’era comunista di Mao Zedong e la fine del comunismo sovietico, la Cina si è lentamente allontanata con Deng Xiaoping dalla rigida ideologia maoista, e si è avviata verso una soluzione politica della crisi del comunismo mondiale diversa da quella seguita dalla Russia di Boris Eltsin e di Vladimir Putin.
Dopo il 1989 la geopolitica del mondo è profondamente cambiata, eppure noi europei e nordamericani continuiamo a guardare ai Paesi e alle culture orientali con un senso di superiorità assolutamente ingiustificato. Dimentichiamo che mentre in Occidente Roma combatteva le guerre puniche per la supremazia nel Mediterraneo, in Cina nel 221 a.C. Qin Shi Huangdisconfisse i signori locali e unificò la Cina diventando il primo imperatore cinese. In Europa, dal Medioevo in poi, abbiamo avuto le invasioni barbariche e il crollo dell’Impero romano d’Occidente, la formazione degli stati nazionali, l’affermazione del metodo scientifico e di quella cultura che ha dato origine alla concezione democratica degli Stati europei contemporanei. In Cina invece per tutti questi secoli l’idea di un impero centralizzato è stata presente anche quando il potere centrale si è indebolito o è passato a popoli invasori come i Mongoli di Gengis Kan.
Dalla scoperta delle Americhe del 1492 gli Stati europei si sono impegnati in guerre di conquista e nella formazione di imperi coloniali, con la giustificazione di portare agli altri la vera religione e la superiore civiltà occidentale; anche nella stessa Cina dove, all’inizio del Novecento, il potere imperiale si è dissolto ed è iniziato un lungo periodo di lotte civili conclusosi con la vittoria comunista di Mao Tsedong. Noi europei, in meno di mezzo secolo, dopo due devastanti guerre mondiali, abbiamo prodotto un’Europa in cui i Paesi vincitori e quelli vinti sono stati egualmente perdenti sul piano della grande storia.
Il crollo del comunismo sovietico e il contemporaneo affermarsi di teorie ultraliberiste negli Stati Uniti di Ronald Reagan e nell’Inghilterra di Margaret Thatcher negli anni ’80 hanno rafforzato l’idea della superiorità del mondo occidentale e del liberismo economico, e la convinzione che il libero mercato è capace di dare maggior benessere ai popoli facendo crescere l’economia senza vincoli. Il risultato è quello denunciato dalla fisica ed economista indiana Vandana Shiva: una concentrazione della ricchezza tale che, “se nel 2010 388 miliardari controllavano un patrimonio pari a quello della metà più povera dell’umanità, nel 2017 il numero era di solo 8 miliardari”.
Tradotto in termini molto semplici questo significa che la fascia di popolazione con medio reddito si sta riducendo velocemente, e che il numero dei poveri nel mondo è cresciuto enormemente. In un mondo diventato più piccolo per la facilità di spostamento di merci, capitali e persone e per le nuove forme di comunicazione digitale, tutto questo ha un prezzo:
- il problema della migrazione dai Paesi più poveri a quelli più ricchi;
- lo sviluppo di società multinazionali che non sono soggette alle leggi di uno Stato e possono spostare stabilimenti industriali e capitali dove più conviene senza pagare tasse o pagandole in forma irrisoria;
- i problemi di inquinamento conseguenti al consumismo senza regole e alla produttività senza rispetto della natura;
- la decadenza dei singoli piccoli Stati di fronte a Stati abitati da miliardi di persone e con potenzialità di crescita simili a quelli dell’Europa del dopoguerra.
Di fronte a questa realtà credo che la Comunità Europea, superando nazionalismi fuori dalla storia, possa giocare un ruolo fondamentale. La Cina, Stato a struttura continentale, è riuscita a intraprendere la strada di uno sviluppo capitalistico, controllato da un apparato ideologico formalmente comunista che, se per noi è solo parzialmente democratico, ha l’indubbio merito di avere consentito lo sviluppo ordinato di un miliardo e trecento milioni di cinesi, tenendo a bada il potere delle grandi multinazionali della finanza e del commercio che hanno messo sotto scacco buona parte del mondo occidentale. L’idea dell’Impero è ancora viva nel cuore dei cinesi e la Via della seta è il segno della fiducia nella possibile espansione dell’influenza di Pechino nel mondo.