Nel mese di febbraio c.a., su questo giornale web, ho pubblicato un articolo titolato “Autonomia delle Regioni? Quella proposta è una secessione politica e culturale!”
Facevo riferimento alle bozze presentate da alcune regioni per dar corso a quanto previsto dalla Costituzione Italiana agli articoli 116 e 117 in tema di Autonomia differenziata, cioè la possibilità di attribuire alle regioni, a statuto ordinario, condizioni particolari di autonomia definite “regionalismo differenziato”.
Ratio legis, nell’ottica dei costituzionalisti, non di acuire le differenze tra regioni più fortunate e regioni sfigate, ma di concedere ai richiedenti, compresi i sempiterni sfigati, poteri diversi – in tema di fisco, fiscalità locale, sanità, infrastrutture, trasporti, istruzione e beni culturali, ambiente e giustizia di pace – per migliorare le proprie condizioni socio economiche.
Gli strizzacervelli, che oggi imperversano sulle scene politiche, esperti giocatori di quel passatempo noto come il fotticompagno”, hanno invece dato al “pensiero costituzionale” significato e contenuti diversi, facendo del censo e del numero degli abitanti i parametri per la determinazione del fabbisogno, per esempio, della sanità o istruzione di ogni singola regione, come se già allo stato non ci fossero nella nostra Italietta ben 20 sanità, pur senza il decreto relativo all’ autonomia differenziata.
Vado per vie brevi: la prima bozza del decreto così concepito trovò dimora nei cestini di Montecitorio e Palazzo Madama, anche perché problemi ben più gravi in quel momento occupavano le menti e l’agenda dei nostri numi tutelari.
Non è che io goda nel fare sempre il controcanto, però a fronte degli assordanti silenzi della stampa che conta a livello nazionale e delle sue propaggini periferiche, solo il Presidente del Consiglio, on. Giuseppe Conte, tuonò: “l’autonomia non sarà un percorso che arricchirà alcune regioni impoverendone altre. Rispetteremo il principio di sussidarietà.”
Ben conscio che il sud ha pagato e paga colpe di Stato, basta dare uno sguardo alle infrastrutture per capire il gap esistente tra le due Italie, non è assolutamente concepibile che le regioni più povere – grande rimorso italiano – escano definitivamente di scena e, da opportunità di sviluppo per il Paese, diventino, invece, la sua palla al piede.
Alle condizioni suesposte in altri scritti – consapevolmente provocatorio – proponevo di restaurare il Regno delle due Sicilie e, con un referendum da svolgere in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, chiedere a tutti i sudisti se continuare a far parte dell’ allegra brigata o magari essere noi altri a chiedere l’autonomia come la Catalogna con la Spagna.
In ritardo rispetto alle prime avances barricadiere della plutocrazia nordista, il presidente della regione Calabria, Mario Oliverio, ha inviato di recente ai colleghi governatori sudisti un invito a dar vita ad un regionalismo del Sud.
Cosa scrive iI vecchio legionario ai suoi colleghi sudisti ed a tutte le forze sociali?
Egli, preoccupato che la “revisione costituzionale relativa ad una molteplicità di materie e funzioni ad esclusivo vantaggio di alcune regioni ed aree forti del Nord, possa acuire gli squilibri accumulati e non risolti nel corso di decenni a netto svantaggio del Sud e delle sue popolazioni”, propone “un incontro tra i presidenti delle regioni del Sud per un approfondimento di questi temi e con l’intento di poter pervenire ad una proposta unitaria da parte del Mezzogiorno”.
Mi consenta, governatore Oliverio, non è che questa regione e l’intero Sud possano aspettare perennemente la venuta del Messia e porgere l’altra guancia con passiva indifferenza; non si può rispondere al male morale e fisico col disarmo quando il sacrilego veste i panni del sacro!
Forse non tocco un tasto a lei congeniale, ma glielo dico da laico: al fuoco incrociato di cannoni e mortai sta rispondendo con quella melodia dei Giganti (anno 1967), slogan di un’ intera generazione di pacifisti, …Mettete dei fiori nei vostri cannoni… non vogliamo mai nel cielo molecole malate, ma note musicali che formano gli accordi per una ballata di pace.
E pace non è se Zaia vuole costituire non la repubblica marinara di antica memoria, bensì la Repubblica di Venezia. Nella bozza presentata, infatti, il governatore del Veneto desidererebbe avocate a sé tutte le 23 competenze di cui all’art. 116 della Costituzione: strade, autostrade, aeroporti, cassa integrazione, gestione rifiuti, tasse trattenute sul territorio, insegnanti regionali, e perfino giudici di pace regionali.
Gli fanno eco i violini di spalla Fontana (Lombardia) e Bonaccini (Emilia e Romagna); più modesti in verità: 20 le competenze richieste dal primo e 15 quelle dell’ altro.
Tutti però d’accordo nel trattenere le tasse e farsi pagare le spese “condominiali” dallo Stato.
E pace non può essere se introduciamo pure i Lep (livelli essenziali di prestazioni) che ricalcano i Lea della Sanità (livelli essenziali di assistenza), dove per tali è garantita una soglia oltre la quale la regione può intervenire solo con risorse sue.
Di che stiamo parlando: fissato il Lep su un valore medio nazionale – costo standard – per es. 60, se la regione deborda e spende 100, sono c..zi per diabetici, cioè amari. E’ l’ente locale…che deve aggiungere il resto.
Vede, governatore Oliverio, io ho l’impressione che in questa Italietta si abbia voglia di tornare allo status ante 1861 e che si stia facendo di tutto perché lo Stato Unitario diventi Stato Confederale, dove chi ieri, ed oggi più di ieri, è cresciuto a spese delle miserie del Sud, voglia continuare a farlo.
Allora mio governatore, se così è, vado oltre la formula Stato Confederale e chiedo di andare a votare, nel segreto delle urne se rimanere a far parte di un Paese che mi considera un “mantenuto” o, invece, dar vita, per esempio, ad un nuovo Regno delle due Sicilie, tanto per essere à la page con i tempi e respirare a pieni polmoni questa corrente d’aria secessionista.
Nel contempo governatore Oliverio, da collega a collega, chieda a Zaia, Fontana e Bonaccini quando sarà introdotto il passaporto per muoversi sul territorio peninsulare.