Vai al contenuto

Il sud sta all’Italia come l’Italia sta all’Europa
Si tenta di ridurre il Paese ad un paniere di monadi

Che ne è stato della famosa cassa del Mezzogiorno, dov’è andato a cacciarsi l’oro di Napoli? Queste ed altre stringenti domande continuano a ricorrere all’ombra di quella che Gramsci definiva “la quistione meridionale” che, imperniata in un turbillon forsennato di dubbi e arzigogoli, continua a perplimerei figli dei figli, rivisitando le generazioni come il furore del Dio veterotestamentario.
Esiste, ed è esistita davvero una questione meridionale, ora che la Cassa del Mezzogiorno, tracciata a cubitali o più recentemente a caratteri celtici su uno squisito immondezzaio, è un meme inossidabile, magnetizzato sulle nostre coscenze?
Può forse essa oltrepassare il puro dato empirico, dopo che l’oro di Napoli, si racconta, espresso in magnifici ducati sfolgoranti,  fu rifuso nelle lire delle zecche savoiarde?
Empirismo o non empirismo, è chiaro che qualcosa (una tendenza, una congiura implicita, un inconscio mortifero) da oltre un secolo e mezzo sta cuocendoci nel nostro grasso drenando plusvalore umano e monetario, com’è altrettanto chiaro che non bastano i mantra degli sperperi, del borbonismo ottuso, della malapolitica e delle camorre, con cui i soloni del giornalismo e delle cattedre affrettate sogliono spiegare il fenomeno, magari elargendo panacee o peggio bonarie e paternalistiche tirate d’orecchie, a fornire lumi su questa vecchissima questione su cui qualcuna campa ormai d’interessi.
L’invisibile faglia simbolica tra nord è sud – da sempre viva e vegeta con tutti i suoi abominevoli risvolti concreti, le sue concrezioni di malessere e di schizofrenia sociale – non pareva evidentemente bastevole ai minatori del nostro tracollo, ai tanti Pisacane 3.0 la cui vocazione è quella di dividere unendo: chiara contraddizione in termini.
Ultimamente la “Lega” che con questi chiari di luna si è dimostrata alquanto “bassa”; la Lega, che con la cassatura di Bossi e del suo delfinato pareva aver liquidato il suo mood secessionista, tenta le vie traverse per indulgere a un abominio di gran lunga peggiore, ossia la riduzione dell’Italia a un paniere di monadi, in omaggio a quella corrente politico libertaria che ha come fine l’aziendalizzazione di ogni realtà territoriale.
Assai comodo per le regioni del nord, virtuose come il pero che si vantava di far pere, subito pronte ad accogliere le regole di un gioco tagliato a loro misura, come per decenni ha fatto la politica nazionale, istituzionalmente ed anche territorialmente polarizzata a nord.
Così il povero sud addenta la sorte del povero Marsia scotennato da Apollo soltanto perchè incapace di suonare la cetra al contrario. Tale è paganamente.
Teologicamente parlando si tratta invece dell’espediente di satana: ridurre alla disperazione un “povero cristo” tramite promesse suadenti ed esche di melliflua viscosità, puntualmente disattese, per poi piantarlo in asso con un semplice: ora se non riesci sono cacchi tuoi; non mi riguarda più.
Ho come l’impressione, suffragata anche da coscienze di un certo spessore, che la “quistione meridionale” non sia divenuta altro che uno sterile aggregato simbolico, un testo fotocopiato fino allo sbiadimento, una questione civetta per distoglierci dalla stessa questione, mentre il sistema finanziario di sperequazione fa le sue grasse risate.
Se di deve ragionare in grande, oggi in cui tutto ricalca il formato magnum, ed avere una visione complessiva,  ciò che è intercorso in Italia fra i blocchi settentrionale e meridionale, sta ora accadendo in Europa la quale,  unita a parole, non è che un agglomerato di nazioni sovrane quando si tratta di  economia; sempre attenta e solidale verso gli interessi privati delle banche (si parla pietosamente di sofferenze bancarie), diviene spietata verso il sangue dei poveri le cui nazioni sono ree di non aver ottemperato al pagamento di un debito pubblico matematicamente inestinguibile (quando lo mettono in campo si riferiscono ovviamente ai soli suoi interessi, che è tutto dire).
Il motto dei benpensanti è che le banche siamo noi. Io traduco: le banche siamo noi quando si tratta di porre rimedio ai loro errori, calcolatamente marchiani, esborsando cospicue patrimoniali, mentre quando si tratta di ottenere necessari e sacrosanti finanziamenti le banche sono solo e soltanto loro.
Gioco al gioco, anche l’Italia è ormai per l’Europa una rimunerativa palla al piede, un popolo di gaudenti lavativi, che non sa che sia il lavoro, che ignora la maniera di tenere a posto i propri libri giornale, una masnada di “I don’t speak english”, buoni solo per essere munti.
Così il contrappasso diviene equazione: il sud sta all’Italia, come l’Italia sta all’Europa.