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NOTE A MARGINE SULLE AUTONOMIE REGIONALI La costituzione va rispettata… dopo aver però determinato i fabbisogni standard

E’ stato merito di questo giornale avere affrontato molti mesi fa il tema delle autonomie regionali che sarà sottoposto all’esame del futuro governo.
Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno fatto richiesta di autonomia differenziata, secondo quanto previsto da una modifica della legge costituzionale già in  vigore dal mese di ottobre del 2001. La modifica concerne gli articoli 116 e 117, che specificano le materie di legislazione concorrente riguardanti le richieste di autonomia delle Regioni a statuto ordinario.
Tra queste materie ci sono l’organizzazione della giustizia di pace, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali, il commercio con l’estero, le reti di trasporto, l’istruzione. Per il conseguimento di tali obiettivi specifici è previsto che le Regioni richiedenti l’autonomia possano trattenere una parte delle entrate fiscali regionali che attualmente vanno allo Stato.
Quest’ultimo punto, insieme all’autonomia scolastica, costituisce il nodo delle contrapposizioni tra Regioni, partiti e in genere Settentrione e Meridione d’Italia.
Lo specchietto preparato dagli specialisti per la discussione dimostra che la voce più consistente dei bilanci regionali è proprio riferibile alle spese per l’istruzione. E’ anche evidente la notevole differenza di spesa  in tale settore tra le regioni che hanno richiesto l’autonomia e le regioni meridionali in genere.
Allego, per concretezza, il quadro sintetico di spesa statale regionalizzata tratta dalla stima per l’anno 2017 presente nel documento MEF (Ministero Economia e Finanza del gennaio 2019 .

Dal quadro si evince una spesa pro capite per ogni Regione sulle funzioni richieste dalle tre Regioni del Nord. Quello che preoccupa è la notevole differenza di spesa per l’istruzione tra le tre Regioni richiedenti e quelle meridionali (es. Lombardia 789 euro contro Calabria 1.109). Differenza che in parte si giustifica con la maggiore anzianità dei docenti al Sud e con la presenza di classi con pochi alunni in zone disagiate e montagnose come è per la Calabria.

Quanto detto giustifica le preoccupazioni di chi teme l’autonomia regionale, e la pressione sul governo di chi invece la pretende.
Anche in questo caso per capire riporto la parte più significativa dell’art. 119 della Costituzione:
“ I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.  I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.  La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.”
Ma nell’art. 119 si dice anche che “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale,per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.”
Lo Stato quindi, per rimuovere squilibri economici e sociali, può destinare risorse aggiuntive in favore di Enti locali, prendendole da un fondo perequativo.  Ora, se consideriamo che le tre Regioni che finora hanno fatto richiesta di autonomia differenziata producono complessivamente circa il 40% della ricchezza nazionale, si può capire cosa significa la riduzione della quota fiscale che va allo Stato e quindi la possibilità di consentire alle Regioni meno sviluppate di avere fondi a disposizione perequativi. Forse è per questo che altre dieci Regioni, tra cui la Calabria, si stanno predisponendo a fare richiesta di autonomia. Il rischio non è più di una secessione della ‘Padania” come ai tempi di Bossi, ma di un Nord che gelosamente trattiene quasi tutte le risorse che produce, e di un Sud che sarà sempre più destinato al sottosviluppo.  Inoltre, proprio per l’art. 119 le Regioni del Nord potrebbero richiedere risorse aggiuntive per raggiungere gli obiettivi previsti dalla programmazione regionale per quelle voci in cui le differenze sono evidenti, come per l’istruzione. Infatti l’art. 2 del documento sulla spesa statale regionalizzata della Presidenza del Consiglio dei Ministri  prevede che “entro un anno dall’entrata in vigore dei DPCM di individuazione delle risorse, si dovranno determinare i Fabbisogni standard”, attraverso l’istituzione di un apposito Comitato Stato-Regioni. Il documento citato presenta all’inizio due specchietti orientativi con la spesa regionalizzata per abitante  sia sull’istruzione sia complessiva per abitante in ogni Regione, da cui si evince una notevole differenza in più di risorse per le Regioni meridionali in genere. Questi sono i dati al momento. E’ evidente in quale direzione si muoveranno le tre Regioni richiedenti l’autonomia ed è chiaro che, se non saranno determinati i “Fabbisogni standard”, le decisioni saranno prese sulla base della media delle spese per abitante tra le varie Regioni d’Italia.
La Costituzione va applicata. Resta agli amministratori regionali, e a quelli calabresi nello specifico, individuare i settori di sviluppo e di interesse primario della Regione e procedere a una programmazione che richieda risorse per i settori che possono far sviluppare la Regione, spendendo i soldi pubblici per il bene pubblico.