Così, come il grido del croupier, rien va plus, mette fine alle puntate e congela la situazione sul tavolo da gioco, tutti i contendenti allo scranno di primo cittadino di Lamezia Terme hanno ufficializzato, giorni fa, la propria candidatura e presentato le liste elettorali dalle quali, in ragione delle preferenze espresse dall’ elettorato, saranno designati, poi, i futuri amministratori.
Sgombrato, quindi, il campo delle ipotesi, dei patteggiamenti, degli “apparentamenti” più assurdi, la Kermesse elettorale ha preso il via: 6 i candidati a sindaco, 269 gli aspiranti ai 24 seggi di consigliere comunale distribuiti in 12 liste.
A parte tre new entries, Eugenio Guarascio ( liste), Ruggero Pegna (3 liste) e Silvio Zizza (1 lista), tutti gli altri sono facce conosciute: Paolo Mascaro (2 liste), Rosario Piccioni (2 liste) e Massimo Cristiano (2 liste).
Di primo acchito colpisce il fatto che alla tornata elettorale del 2015 le liste erano 23 – per quasi 552 candidati – quasi il doppio di quelle odierne. Nel calderone il sindaco uscente Mascaro, ne contava ben nove; l’etico presidente dell’altrettanto etica Calabria, Pasqualino Ruberto, ne contava sei; quattro il Pd che già mostrava i primi segni di cedimento; due Gianturco; una ciascuno il M5s e le Idee in Movimento di Nicola Mazzocca.
Non è questo un buon sintomo in quanto, a mio parere, ciò denota in linea generale una disaffezione degli elettori dalla politica ed una presa di distanza dai partiti e, nella fattispecie Lamezia, per quanto si voglia minimizzare il terzo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, l’allontanamento dei lametini “perbene” dalla politica mestierante.
Non sfugga ad alcuno la difficoltà che hanno avuto partiti, movimenti, cespugli ed arbusti a comporre le liste elettorali ed a raccogliere le 200 firme necessarie per la presentazione delle stesse.
Non ci si sorprenda se i sepolcri imbiancati sono scomparsi dal proscenio proprio per il mancato reperimento di agnelli sacrificali e, perché no, per l’aria insalubre che si respira in questo agone elettorale; né tanto meno dell’aumento esponenziale dei “ postulanti” che pur di avere un posto al sole hanno disinvoltamente cambiato casacca. Basta scorrere i nomi dei candidati delle varie liste per accorgersi dei tanti che, non sentendosi più rappresentati dal partito o movimento nel quale militavano – così la raccontano – oggi, raccolte suppellettili e masserizie, si sono trasferiti là dove il sole è più caldo e più accogliente.
Sempre, invece, al loro posto i grand commis, convoyer di voti, sempre personaggi ricercatissimi e con alto indice di gradimento.
Su questo orizzonte si affacciano i lametini che si dividono in due categorie i balconari , curiosi attendisti del “mo che succede”, pronti ad esprimere la preferenza per questo o quel candidato per tutta una serie di motivazioni certamente non originate da fede politica o dal desiderio di una svolta nei modi e nei contenuti sociali ed amministrativi;
fanno pendant gli astensionisti, cioè quegli elettori disaffezionati dalla politica in genere ed, in particolare dai partiti, ai quali attribuiscono tutte le responsabilità della caotica situazione nella quale versa la città lametina, ferma saldamente al palo in tema di sviluppo socio economico e per giunta piagata da tre scioglimenti del consiglio comunale, con l’infamante accusa dell’infiltrazione mafiosa.
Ben consapevole che, avendo la nostra kermesse elettorale una dimensione locale, certamente l’astensione dal voto è frenata dalla presenza di forze politiche e candidati legati al territorio. Ciò non toglie, però, che dissensi e malumori sono talmente profondi da produrre frustrazioni e rancori per quanto avvenuto.
Nel 2015, per l’elezione del sindaco e dei consiglieri, votò il 66% degli elettori al primo turno ed il 44% al secondo turno. Non è azzardato, quindi, ipotizzare per la tornata elettorale del 10 novembre un incremento dell’astensione di ben sette punti, in linea con quanto accaduto nell’ elezioni amministrative di altre città, ma forse ben peggiore se calato nella realtà lametina, dove al generale allontanamento dalla politica si deve aggiungere la disgregazione dei partiti storici, l’individualismo più sfrenato e l’inesistenza di una programmazione seria per una città, ridotta al lumicino da una classe politica che non ha mai saputo o voluto guardare al di là della siepe, ed alla quale non ha certamente giovato nemmeno quest’ultima terna commissariale.
In questo frangente, invece, Lamezia avrebbe avuto bisogno della massima solidarietà tra le forze politiche di centro, di destra, di sinistra, se ancora questa classificazione ha un significato; avrebbe avuto bisogno, questa città, di un programma di ampio respiro che la rimettesse in gioco e che la facesse uscire dall’angolo nel quale vicissitudini nefaste, incapacità politica e gestionale, sciocchi campanilismi e lotte intestine l’hanno collocata;
avrebbe avuto bisogno di programmi ad alto contenuto socio-economico, dell’individuazione e del perseguimento di serie direttrici di sviluppo, non di astratti, enfatici e reiterati proclami.
Basta con la storiella del Grande Vecchio che ci ha tarpato le ali! Guardiamo in faccia la realtà che è quella alla quale abbiamo assistito fino ad oggi: non si è discusso di programmi e della Lamezia che vorremmo fosse, bensì di chi dovesse sedere sullo scranno di primo cittadino di una città evanescente.