Se oggi si fa un più che spropositato parlare di sardine, i motivi non andranno certo rimessi, nell’accezione benigna, al salutismo oggi in voga ed all’omega tre o, nell’accezione negativa, al mercurio che pare abbia una notevole propensione ad impallinare il pesce azzurro, o, forse ancora peggio, al flagello del nematode parassita detto anisakis, che in tempo di cruditès, trova anch’esso la sua tavola imbandita, con estrema facilità e parsimonia, nei sushi take away.
Quello delle sardine è oggi un brand giovanile per eccellenza, sebbene annoveri tra le sue fila numerosi vecchi garibaldini. Il perchè sia nato e quale sia la sua ispirazione, credo sia sotto gli occhi di tutti, mentre la grossa riserva di nebulosità idealistica che nutrono nei suoi riguardi i vecchi paguri bernardo, accaniti ed oziosi opinionisti blasè, può rappresentare una verità relativamente alle singole coscienze dei miliziani, mentre il movimento preso nel suo collettivo possiede una propulsione e un telos minuziosamente definiti: ma qual è la cabina di regia, regia nel senso filmico, perchè appunto di una delle solite note pellicole si tratta?
Quanto a novità, qui devo dire che siamo parecchio a corto di idee. È, strutturalmente parlando, l’arcinoto caso del conflitto perpetrato tempestivamente, ma contro il nemico sbagliato. Quanto ci sia di deliberato e di indotto in queste derive e peregrinazioni dell’arbitrio lascio desumere a più fini spiriti critici. Mi limito a porre interrogativi neutri più che tendenziosi, quali si sollevano in genere nelle tribune mediatiche.
E chi avrebbero posto, a titolo di esempio, le sardine, a bersaglio della loro indignazione, fra i tanti boss ipotetici, reali e figurativi, fra i tanti unghiuti guardiani della Legge, arroccati gli uni dietro agli altri, sempre più potenti e colossali via via che si declinano, proiettati all’infinito come in una sovrapposizione di due specchi, guardiani innumerevoli, disposti in ferrea gerarchia, di cui già non si tollera la raccapricciante vista del terzo in ordine, chi si è individuato, dicevo, come nemico se non il due di briscola, il rigurgito, la corte dei miracoli, un povero carrettiere, un rivendugliolo di medagliette del duce e di monetine col fascio coniato sopra?
Ma chi vogliono rappresentare di preciso? Dove si situa il loro retroterra? Chi ha mai spiegato loro, prima di scaraventarli ad una ribalta sperperatrice di preziose energie giovanili – ed in fondo utile al sistema generale che si ingegna a dirottare l’attenzione su futili conflitti, per poter perseverare indisturbata nella serietà del suo antidemocratico disegno – che cosa sia il Meccanismo Europeo di Stabilità, o il Fiscal Compact che da anni, per procura della sinistra quanto della destra, ci martirizza a fondo perduto con l’obbligo del pareggio dei bilanci e col sanguinoso ritocco di un debito pubblico divenuto sistemicamente come la giara delle Danaidi, senza più fondo nè misericordia?
Che ne sanno del Trattato di Maastricht e – aldilà dei boati di trombone e delle colonne di alloro sui quali è stato fatto assurgere – dell’internazionalizzazione del debito pubblico che a conti fatti è riuscito a comportare, accompagnando sincronicamente la svendita seriale dei nostri beni pubblici? Non sanno che internazionalizzazione è stata sempre per noi sinonimo di fuga di capitali?
Che ne sanno di come le suddette cose, totalmente avulse dalla democrazia, abbiano paradossalmente fatto la vera politica degli ultimi trent’anni?
Che ne sanno di una sinistra ormai morta e sepolta, ectoplasmatica, che si affanna a rivivere nel suo fantasma, trascinandosi in mala fede e cattiva coscienza ad un compromesso storico senza precedenti in nome di una sopravvivenza di ordine elitario?
Che ne sanno, in aggiunta, di un campo di grano, data anche l’orrenda musica che credo ascoltino? Che maestri hanno avuto? Quali sono i nominativi dei loro professori?
Più che il numero degli aderenti, che per quel che mi riguarda può essere anche sostanzialmente insignificante, sarebbe altamente illustrativo conoscere di un gruppo la composizione demografica: un carotaggio di estrazione sociale. Non “quanti” fisici o numerici, ma “quali”: chi sono?
A quali stati sociali appartengono costoro o chi li regge culturalmente? Perchè è anche tornato opportuno parlare di stati sociali, per quanto si faccia le viste di non intendere. La statistica ha ben altro da fare che illuminare le coscienze e così fa le veci o, con facile boutade, le feci di una falsariga democratica ormai nauseabonda.
Chi sono infine costoro? E che fanno, che facevano i loro genitori? Non domando propriamente il loro mestiere come farebbe un qualsivoglia maestro Perboni, classificando ed esponendo al conflitto in perfetta buona fede un’intera scolaresca. Chiedo soltanto che rapporti abbiano con il presente sistema collaudato, se siano i perni o le deiezioni, se abbiano navigato sul nubifragio dell’ultima storia o se siano affogati in esso. È questo che preme davvero sapere ed è ciò che oppone due autentiche fazioni politiche.
Data la grande affluenza nei loro palloni (ignoro se anche le sardine indulgano a questa disposizione naturale di ordine difensivo, accertata invece per quanto concerne le altre loro cugine dei mari ( le acciughe) di esponenti della “razza” giovanile, mi aspetterei, meschino quale sono, che almeno almeno covassero nel loro petto glabro un qualche barlume d’ira sacrosanta e sovvertitrice, come di chi abbia visto veramente, lungo quest’ultima dura catena di anni, mettere ipoteca sul suo avvenire in nome di un neoliberismo onnipresente, adagiato ormai sulle nostre sobrie tavole come pane e coltello…
Invece hanno eletto, a loro vituperio, la lotta serrata e inconcludente contro un povero grammofono kitsch.