Con questo intervento vorrei porre alcune domande suscitatemi dalla trasmissione del 6 aprile di Report. Essa ha ricostruito (per gli storici futuri e l’opinione pubblica di oggi) con la forza delle immagini (che i giornali non possono avere) come si sono mosse le regioni, dalla Lombardia e il Veneto (la migliore) sino a Campania e Sicilia, per fronteggiare la pandemia. Si usa dire: non è il momento di fare polemiche. No, è proprio questo il momento, perché è stato dimostrato come ogni nostra regione-staterello si muove senza guardare cosa gli succede attorno. Dopo gli errori terribili in Lombardia (a cominciare dai due paesi della Val Seriana, Alzano e Nembro ) tutte le altre hanno sprecato il tempo che avevano di attrezzarsi per non ripetere quegli errori. Solo che le nostre Asl sono comandate da caporali, per adoprare la nomenclatura di Totò, degli incapaci che non saprebbero neppure gestire una bocciofila (Report ha mostrato la tipologia: un dirigente di Siracusa). In altri termini, agli inizi di marzo si poteva ben dire (come dice il buon Gallera assessore lombardo): è stato uno tsunami che ci ha travolto. Ma dopo un mese ancora i caporali cadono dalle nuvole, sorpresi e impreparati, inefficienti, come se quello successo al nord non dovesse replicarsi al sud. Veniamo allora alle domande per cominciare un dibattito sereno. In questi giorni la colpa di tutto la si imputa soltanto ai tagli alla sanità. Metteteci più soldi e tutto andrà meglio.
Nessuno spiega che se dai potere e soldi, pochi o molti che siano, ai caporali, regioni e aziende sanitarie fanno quello di cui ci stiamo accorgendo in questi giorni. Per esempio, in questi ultimi anni i caporali amano molto ( chissà perché ) comprare costose attrezzature (Tac…) che poi non hanno il personale per far funzionare. La sanità va di nuovo centralizzata e nelle regioni risistemata la rete sui territori, con ospedali e presidi diffusi che facciano da filtro (il modello Veneto o Emilia)? In Lombardia hanno ricoverato quasi tutti, il 60% dei casi confermati, esaurendo presto i posti letto. In Veneto dove c’è una cultura della Sanità pubblica, i medici di base e i Servizi d’igiene delle Asl hanno fatto filtro: solo il 20%. Tenendo a casa i positivi asintomatici si è evitato l’affollamento degli ospedali e la diffusione del contagio.
Inoltre lo storico “tanto paga Pantalone” deve cessare, nel senso che ogni azienda sanitaria italiana deve avere il bilancio in ordine e quello che sta succedendo in Calabria, con aziende da molti anni senza bilanci e deficit ancora incalcolabili, deve cessare con l’intervento (si spera) della magistratura oltre che del decisore politico? Non vorrei, cioè, che stigmatizzare i “tagli” significasse, secondo la corrente cultura economica italiana, giustificare lo spendere a debito.
Segnalo infine lo slogan che troppo spesso si sente ripetere in questi giorni: “ecco cosa ha significato lo smantellamento dei piccoli ospedali!”. Siamo sicuri che dalla pandemia la prima cosa che dobbiamo imparare sia questa? E’ il ritorno del “Piccolo è bello”? Ogni bacino deve avere il suo ospedale come è già successo in Calabria con la proliferazione di caporali inetti, reparti fantasma, primari improvvisati e infermieri a go-go in tutt’altre faccende affaccendati? Ma scusate, allora l’inchiesta sull’ecatombe da coronavirus nella Bergamasca, le esperienze di Alzano e Nembro, sei giorni di rinvii, i primi pazienti «anomali», i mancati interventi, il via vai di persone in ospedale mai interrotto, non insegnano nulla?