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IL CAZZEGGIO EUROPEO NON CONOSCE LA PAROLA FINE La comunità d’oltralpe fa a gara sugli zero virgola tra un paese e l’altro mentre i popoli del sud tirano la cinghia  

Quousque tandem abutere,
Catilina, patientia nostra?

L’intenzione di questo lavoro scaturisce dalle vistose omissioni dei canali ufficiali di comunicazione. Là si indulge allo slogan, al concetto mantra ed all’ufficialità del numero, tacendo ampiamente sull’ordine degli accadimenti che andranno veramente a strutturare la nostra vita d’ora innanzi. Qui, al contrario si vogliono tirare le somme sui destini economici della nostra Italia in seno ad una Europa che in questi ultimi tempi si è dimostrata più che mai matrigna.

Prima parte

Qualche giorno fa questo giornale pubblicava un articolo “’Europa matrigna e figli degeneri” (noi), a proposito delle cortesi “attenzioni” della Lagarde e della Von der Leyen. Conteneva delle considerazioni relative agli Eurobond ed al Mes  (meccanismo europeo di stabilità),  quest’ ultimo meglio definito estorsione legalizzata,  strumento che i falchi del Nord Europa vorrebbero impiegare per concedere aiuti al nostro Paese economicamente stremato da Covin – 19.
A proposito di Mes, malefico marchingegno fotticompagno, vi proponiamo  lo stralcio di un’intervista concessa da Massimo D’Alema, l’1 luglio 2015, a Rei News: “ …le faccio un esempio per capire che cosa succede a questa moneta unica, ma di differenti livelli di competitività e di forza economica. In Germania il costo del denaro è bassissimo, quindi le banche tedesche raccolgono denaro dai risparmiatori tedeschi, che avendo anche loro un costo quasi nullo, comprano i titoli della Grecia.
La Grecia paga il 15 per cento di tasso di interesse, essendo un paese a rischio. Quindi chi acquista quei titoli guadagna una montagna di soldi.  Accade, quindi, che da un paese povero come la Grecia, enormi risorse si trasferiscono verso un paese ricco come la Germania. Per la differenza dei tassi d’interesse, un paese povero si impoverisce sempre di più ed un paese ricco si avvantaggia sempre di più.  Quando il paese povero non è più in grado di pagare i debiti arrivano gli aiuti europei. Noi abbiamo dato alla Grecia 250 miliardi di euro, ma non per le pensioni dei greci, ma per pagare gli interessi alle banche tedesche, francesi e, molto parzialmente, italiane.  220 miliardi dei 250 miliardi di aiuti sono andati direttamente alle banche tedesche, francesi e italiane, i prestatori. Quindi in realtà quando si dice che noi paghiamo le pensioni dei greci, non risponde al vero; noi   paghiamo le banche tedesche, e di questo giro del denaro, i greci non ne sentono neanche l’odore. Questo meccanismo non può reggere a lungo, non regge e non reggerà”.
Eppure a giudicare dalle reiterate asserzioni di quelli che oggi amano definirsi “professionisti dell’informazione” – titolo quanto mai autoreferenziale oltre che inclassificabile – la moneta unica fu cosa buona e giusta, e ad ogni nuovo, timido, contraddittorio che osava levarsi dalle platee dei tartassati si demandava subito la questione ai prezzolati tecnocrati di turno.
Si parlava di benessere diffuso, di possibilità interculturali, di magnifiche sorti, strizzando l’occhio in direzione delle nuove leve generazionali e mescolando generica ideologia libertaria e gretto interesse privato, con lo stesso accanimento imbonitore con cui negli anni ci hanno rassicurato ed indotto alle splendide prospettive del self imployed, del famigerato imprenditore di se stesso, “perchè il posto pubblico non esiste più, e poi oggigiorno a chi interesserebbe più il pubblico? Troppo tedioso per voi spiriti liberi”. Così la loro retorica consiste da anni nello spacciare la bancarotta fraudolenta per occasione di riscossa sulla falsariga delle moderne tendenze che vanno costruendo loro stessi a reti unificate.
Ed oggi? Se dopo due guerre mondiali calde e una fredda siamo convinti che l’ONU sia finalmente riuscito a concretizzare il nostro atavico sogno di pace mondiale, abbiamo preso un granchio mastodontico: la vocazione bellica ed il cattivo spirito delle singole nazioni sono ancora vivi e vegeti, si giocano semplicemente su di un altro piano, si sono ridisposti semplicemente, con gli identici caratteri, in un ordine ulteriore, ossia quello finanziario: espressione, alla fin fine, del potere e di quella stessa ricchezza che è stata la prima e sola causa principe di tutte le guerre di tutti i secoli, siano state esse combattute a colpi di balestra, di kalashnikov, o di quotazioni dello spread. Ciò è quanto mai drammaticamente visibile nella egemonica preminenza atlantista e nell’obliqua onnipotenza del suo dollaro, ma specialmente nella cosiddetta unione europea, dove la contiguità geografica delle nazioni rende questa fondata certezza ancora più paradossale. Che l’Europa unita altro non fosse che una forzata accozzaglia di interessi diametralmente opposti, era ben visibile; la cosa davvero notevole è l’eccesso di democrazia con cui i conflitti che intercorrono fra i singoli componenti sono stati abilmente larvati.
La Germania, dal canto suo, rappresenta la pietra d’inciampo, o meglio, la chiave di volta per poter comprendere l’iniquo meccanismo europeo. In virtù del peso egemonico che ha assunto in Europa fin dai primi anni ’90, peso corroborato dall’entrata in una moneta a cambio fisso come l’euro (una sorta di neo-marco), può permettersi cose che a nessun altro paese sarebbero lecite. Può montare su pulpiti e dire la sua anche in merito a questioni attinenti l’altrui posteriore; dall’alto della sua KFW, la sua banca pubblica, può glissare sulle draconiane determinazioni della Banca Centrale Europea, e stampare ed immettere all’occorrenza (covid-19 docet), quanto è necessario per iniettare linfa nell’economia reale senza ottenerla a usura. Può infine permettersi di caldeggiare per le nazioni colpite dal manganello della crisi la poco auspicabile misura del MES.
La Germania stessa, con l’incontenibile spocchia di chi si crede realmente superiore, ha reso noto lo studio di una sua think tank nominata Cep (Centre for European Policy), studio i cui dati offrono il grafico spietato delle perdite economiche italiane comprese negli anni fra il 1999 e il 2017, un ventennio di regime “eurodiretto” che potrebbe aspirare alla stessa imperitura memoria del ventennio fascista. Lo studio si intitola senza mezzi termini: 20 anni di Euro: vincitori e vinti, e deve essere di monito a quanti credono che l’assenza di sangue vivo corrisponda a l’assenza di guerra. Noi siamo ovviamente fra i vinti, con una perdita disastrosa di circa 73000 euro a testa. Il che significa sommariamente che ciascuno di noi negli ultimi vent’anni avrebbe avuto diritto a 73000 euro in più traducibili in servizi in genere, in buona occupazione, in sanità pubblica, in welfare.  Non c’è bisogno di affermare che in termini di qualità della vita quei 73000 euro a persona avrebbero fatto una differenza notevole. Quante interminabili file davanti ai C.U.P. ci avrebbero risparmiato, o nella migliore delle ipotesi quanti bambini non si sarebbero spenti nel grembo materno per un costosissimo cesareo posticipato allo stremo fino alla sofferenza fetale! Quante chiusure di centri di terapia intensiva neonatale, con le loro infauste e malthusiane conseguenze, ci saremmo risparmiate!