E’ da giorni che il cuore, in questa quarantena coercitiva che impone censure di ogni sorta, mi stimola a parlare del silenzio, di quella coltre spessa e pesante che i media, passata la bufera iniziale, hanno steso sulla morte di quelle migliaia di persone che l’umana specie aveva relegato in case di riposo, in solitudine e nell’attesa di “miglior vita”, quella che il sistema ha regalato ai nonni d’Italia a coronamento di una vita spesa per ricostruire il territorio dopo gli scempi del ventennio.
Ha il volto delle cose perdute questo silenzio
di Alessia Borelli
In questi giorni di quarantena, in cui il monito “state a casa” è stata l’unica, imperativa eco udibile nelle strade cittadine, ciò che ha reso tutto ancora più surreale è stato proprio il silenzio.
Intere giornate sono trascorse senza che voce umana fosse percepibile, in lontananza solo qualche cinguettio, lo sporadico abbaiare di un cane, il passaggio – raro e quasi inappropriato – di qualche auto. Inevitabile cogliere la solennità quasi sacrale di questo silenzio, il peso schiacciante di esso, la sua innaturale e inquietante bellezza, spettrale direi, che come una coltre di neve leggera ha imbiancato i nostri pensieri.
Mi è tornata così in mente una vecchia canzone scritta da Paolo Limiti, interpretata poi da Mina e da tanti altri artisti: in essa il silenzio si fa veicolo di ricordi, di sentimenti dolci e amari e – cito testualmente – “ci sono cose in un silenzio che non m’aspettavo mai […] e improvvisamente, ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto […]”.
E da qui la riflessione, il pensare che questo silenzio che io scruto fra le confortevoli mura di casa mia, circondata dal calore familiare, per altri è stato ed è sinonimo di solitudine, di separazione, di isolamento; questo silenzio che ha spento anche le città più vivaci e attive, per altri è stato il primo segnale che qualcosa stava per finire; questo silenzio che a noi, seduti comodi sulla nostra poltrona, quasi rilassa, per altri – gli ammalati di covid 19 chiusi negli ospedali o, peggio, dimenticati nelle RSA – “ha il volto delle cose che han perduto”: la salute, gli affetti e, in quasi 25000 casi, la vita.
Un silenzio che li ha accompagnati anche nell’ultimo rito di passaggio, durante il trasporto su mezzi militari, sigillati in feretri anonimi, senza la consolazione dell’estremo saluto dei propri cari.
Un silenzio feroce questo, spietato, che rimarrà impresso nella memoria di tutti noi, anche quando questa emergenza sarà passata. Sarà quel silenzio amaro che ci accompagnerà nel sonno negli anni a seguire, perché certe cose non si dimenticano mai, anche se la vita riprende e gli impegni ti assorbono. Ogni qual volta calerà il silenzio, la notte, ci saranno cose in esso “che non mi aspettavo mai”.
La gran Milano, place to be, guida le file con il Pio Albergo Trivulzio, sempre in pole position quando è il business a fare il croupier in questa spietata roulette russa della quale abbiamo conosciuto il vincitore e riassaporato gli antichi sapori della politica a misura d’uomo.
Ma Milano, Bergamo e Brescia sono solo la punta dell’iceberg perché su tutto il territorio, dalle Alpi alle piramidi, cambia lo spartito, ma la musica è sempre la stessa: c’è di mezzo sempre la politica, quando per distrazione, per errore, per buonafede si rinuncia ai controlli per favorire il privato o, meglio, gli amici degli amici.
Si è consumata così – tanto per dar il giusto nome alle cose – la mattanza della terza età, tanto da far sorgere il dubbio “che le case di riposo siano state trattate alla stregua di discariche umane”(Gad Lerner).
A parte le ipotesi legislativamente qualificate dall’ordinamento in tema di silenzio – positivo, negativo e non giuridicamente rilevante – se sono diverse le tipologie del silenzio, dietro le quali si nascondono, a seconda dei casi, incertezze, bugie, sogni, paura, tristezza, insomma tutto quello che passa per la nostra mente e che non esce dalle nostre labbra – quello della fattispecie di cui sopra merita essere classificato come silenzio colpevole.
Mi preoccupa in questo lockdown, imposto dalla pandemia in atto, il silenzio della istituzione regionale calabrese che, sembrerebbe, brilli per eccesso di riservatezza. Va pur bene – si fa per dire – che la neo governatrice Iole Santelli con sua ordinanza abbia vietato ai dirigenti regionali ed ai direttori delle aziende ospedaliere di fornire agli organi di stampa numeri e casi relativi ai contagiati Covid. Certo non oso darle torto dopo le figure barbine fatte a livello nazionale per le dissacranti affermazioni fatte da suoi dirigenti, cosa che non ci inorgoglisce anzi ci preoccupa saperli sempre seduti al posto di comando.
Però, vivaddio, noi altri sudditi gradiremmo conoscere, al di là delle stitiche narrazioni dei tg regionali e dei tg nazionali – per i quali la Calabria non esiste nemmeno nelle previsioni meteo (fateci caso, per l’operatrice l’Italia finisce alla Campania, alle Puglie ed alle isole maggiori) – come evolvono le cose in tema di coronavirus non limitatamente al numero dei contagiati, ma considerate le crepe venute a galla e l’incapacità decisionale del management in campo, quali saranno i provvedimenti da prendere.
Malgrado, per divina benevolenza e non per umana avvedutezza, la Calabria non abbia e non stia soffrendo più di tanto – fatta eccezione per gli effetti collaterali – per la virulenza di Covid, gli accadimenti relativi alle case di cura per gli anziani hanno scoperto un’altra falla della sanità calabrese.
A parte il focolaio della Domus Aurea di Chiaravalle costato la vita a 23 anziani, un altro caso, la Rsa di Torano Castello, 78 fra pazienti ed operatori contagiati – casi assurti agli onori della cronaca nazionale – getta una luce sinistra sul metodo gestionale delle case di riposo l’attività di controllo dei carabinieri e del Nas che, qualche giorno fa, hanno monitorato nel reggino 104 Rsa irregolari chiudendone 15 e denunciando 61 persone. Ciliegina sulla torta ben cinque residenze operavano senza alcuna autorizzazione. Ma le altre, quelle autorizzate, hanno mai subito un controllo dagli organi preposti alla bisogna? Silenzio negativo giuridicamente rilevante!
In un comunicato unitario, diffuso qualche giorno fa dallo Spi Cgil, Cisl ed Uil, i segretari evidenziano che nel contesto strutture socio-sanitarie la Calabria non è immune da colpe e responsabilità e che la stessa ordinanza nr.20 del 27 marzo u.s. della Santelli sia stata applicata in modo inadeguato.
Se la Regione avesse – hanno aggiunto i tre segretari – avviato per tempo una puntuale attività di screening, di prevenzione capillare sull’idoneità delle varie strutture si sarebbe ridotto al minimo l’esposizione al contagio ed evitato lo sconfortante quadro emerso dalle ultime attività investigative.
Ebbene Covid 19, anche se in Calabria non si è manifestato in tutta la sua virulenza, ha messo a dura prova l’inesistente sistema sanitario calabrese piagato da un decennio di logorante commissariamento e da tagli e riforme pifferaie tali da mettere in predicato la sua funzionalità.
Cosa preoccupa i calabresi, ormai votati ai viaggi della speranza? La piena coscienza che non può contare su un management capace ed in grado di risollevare le sorti della sanità allo sbando.
Ne ha preso scienza e coscienza la neo governatrice Santelli? Siamo tutti in attesa della sua annunciata rivoluzione.