Nella legge regionale n. 6 del 13 marzo 2019, dichiarata decaduta subito dopo la sua approvazione da parte del Consiglio regionale per i rilievi di incostituzionalità avanzati dal commissario ad acta, il presidio ospedaliero lametino Giovanni Paolo II era stato inserito, al comma 4 dell’art. 1, nel procedimento di integrazione con le aziende catanzaresi Mater Domini e Pugliese Ciaccio; nella nuova legge approvata nella notte tra il 27 e il 28 aprile scorso, non vi è invece alcuna traccia per cui, leggendo le parole che il sindaco Abramo ha pronunciato il giorno seguente il varo della citata legge: <<Lamezia non verrà dimenticata: dopo l’approvazione della legge, la firma del protocollo e l’individuazione di un dg unico si aprirà il ragionamento anche con Lamezia>>, che suonano così “assurdamente beffarde nei confronti dei lametini”, si comprendono anche la malcelata irritazione ed il senso di frustrazione, a stento repressi, del sindaco Paolo Mascaro nella sua dolente nota del 29 aprile scorso.
Per comprendere come sono andate le cose è necessario conoscere un antefatto cui bisogna accennare. Nel corso di una riunione tenutasi a Catanzaro, nella cittadella regionale, il 19 marzo 2019, a Mascaro e De Biase era stata data assicurazione che all’ospedale di Lamezia sarebbe stata <<riconosciuta pari dignità rispetto agli altri soggetti giuridici integrati e sarebbero state previste [per esso] elevate specializzazioni (sic!) nonché un miglioramento dell’offerta sanitaria ad oggi esistente…..>>. Ed entrambi se l’erano bevuta!
Si spiega così che nel programma dispiegato per le elezioni, il candidato a sindaco nel paragrafo che ha per titolo: “La tutela del servizio sanitario” riassume con queste frasi, abbastanza esplicative, gli intenti della sua futura azione amministrativa: <<1) occorre garantire il diritto alla salute dei cittadini attraverso il rilancio del presidio ospedaliero di Lamezia Terme fornendo adeguati servizi socio-sanitari a livello territoriale; 2) interlocuzione diretta (del comune di Lamezia Terme, n.d.s.) con la regione Calabria, la sua struttura commissariale e l’ASP; 3) Lamezia Terme dovrà essere paritariamente integrata nell’offerta sanitaria dell’area centrale della Calabria, con pari dignità rispetto agli altri presidi.>>
Da questi proponimenti si evince soprattutto che al sindaco lametino era stato garantito che allorché si sarebbe effettuata l’integrazione tra gli ospedali catanzaresi in essa sarebbe stato intrufolato anche l’ospedale di Lamezia Terme. Lui ci aveva creduto. Ne era tanto convinto il primo cittadino di Lamezia che, all’indomani della sua elezione, aveva subito cominciato a creare una specie di “gigantesca unità operativa” (task force) che avrebbe dovuto far fronte, cosi egli sperava ed era convinto, ad una radicale, straordinaria evoluzione della sanità lametina.
Tale unità operativa che dovrebbe includere l’istituzione di un assessorato alla salute (fatto inedito nella tradizione amministrativa del comune lametino), la commissione consiliare alla salute, presieduta da uno dei sostenitori (supporter) a lui più fedeli ed, infine, ma non ultima per importanza, la “creazione di un osservatorio permanente (addirittura!) sulla sanità formato da tecnici ed operatori del settore che possano coadiuvare l’amministrazione nella sua azione di salvaguardia della salute e del territorio anche attraverso la proposizione di tavoli tecnici che siano propositivi per il territorio tutto”.
Tutto questo straordinario apparato comunale d’intervento per l’ambito sanitario si giustifica solo se si prova ad entrare nella logica del sindaco lametino il quale era arci-convinto che l’ospedale Giovanni Paolo II sarebbe stato integrato insieme agli altri ed avrebbe fatto un salto di qualità così elevato da passare da ospedale sede di Dea di primo livello e quindi spoke ad ospedale Dea di II livello e quindi hub (qual è il complesso della sanità catanzarese). Si capisce perciò la cocente delusione del sindaco quando, all’oscuro di tutto ed improvvisamente, ha dovuto apprendere che con un colpo di mano, Tallini ed Abramo, consigliati e guidati da Cottarelli e con l’assenso della Jole Santelli avevano proceduto all’integrazione degli ospedali della loro città lasciando fuori dalla porta, sul ballatoio, l’ospedale della sanità lametina.
Tanto profonde sono state la delusione e l’irritazione, che con evidenza emergono dalla nota diramata il 29 aprile, all’indomani della legge regionale di integrazione che, dopo quella esternazione, mi pare che nessun altro suo intervento sui giornali sia stato pubblicato. Né provvedimento di carattere politico o istituzionale o giurisdizionale, che si sappia, abbia preso. Se n’è rimasto silenzioso il sindaco Mascaro, ed inerte anche nell’azione, così come lo sono stati gli altri attori responsabili della salute del territorio lametino, l’assessore al ramo e la commissione consiliare preposta ad occuparsene. Nè penso che si metterà in piedi la “commissione consiliare alla salute” che, con un presidio ospedaliero Dea di I livello spoke, non si capirebbe di cosa dovrebbe occuparsi di tanto eccezionale.
A Lamezia non si deve registrare finora solo l’assenza dell’amministrazione comunale, ma anche, soprattutto mi vien da dire, della politica. Il che è altrettanto grave. Nessuna reazione, politicamente forte, decisa, è dato registrare da parte dei partiti, sia di destra che di sinistra, né dai candidati e movimenti politici presenti nelle ultime elezioni amministrative e regionali. Sembra che FI, FdI, Pd, 5-Stelle, Leu, Lamezia-bene-comune se la siano squagliata e non esistano e, al netto di qualche esternazione di una trentina di righe di piagnucoloso rincrescimento per il “colpo di mano” operato dai catanzaresi di qualche singolo esponente della maggioranza e della minoranza consiliari, nessuna sostanziale reazione è stata registrata né da parte dei soggetti sopra menzionati né da parte dei movimenti e dalle associazioni che, in tutti gli anni trascorsi, si sono dati da fare tenendo viva la problematica inerente al nostro ospedale e denunciando ogni soppressione di servizi che era effettuato a danno della sanità lametina. Eppure, LeU, per esempio, nell’attuale governo esprime il ministro della salute. Ebbene, se a Lamezia questo partito esiste, batta un colpo; un suo intervento presso il ministro Speranza perché, per quanto di sua competenza, si dia da fare per bloccare un provvedimento di legge regionale che penalizza pesantemente il presidio ospedaliero del circondario lametino impedendogli di far parte dell’hub regionale, potrebbe far ridimensionare (abbassare la cresta, insomma..) il ceto politico catanzarese e rendere giustizia non al ceto politico lametino, passato e presente, che non lo merita, ma alla comunità sociale della nostra città, che invece lo merita.
Totalmente assenti sono stati finora i rappresentanti istituzionali, alla regione o al parlamento, di Lamezia. Nessuno di loro ha mosso un dito né ha esternato una rimostranza né ha effettuato un gesto di disapprovazione avverso l’operato del ceto politico catanzarese. Osservando la loro totale afonia e il disinteresse per il problema della sanità lametina, di cui l’ospedale Giovanni Paolo II è l’emblema, si è propensi a pensare che ciò che preme a costoro è che non vogliano mettere a repentaglio la loro carriera personale ed inquinare i rapporti né con l’amministrazione regionale, né con la dirigenza dei loro partiti che l’appoggiano e la sostengono. Sembra quindi che per tutti costoro, l’ideologia alla quale s’ispirano sia quella del ‘familismo amorale’ a cui spesso si affidano molti dei nostri ceti politico-partitici che, a turno, si trovano ad amministrare (si fa per dire…) ai diversi livelli istituzionali la cosa pubblica: “Francia o Spagna purché se magna”. Il resto non ci interessa