Lamezia è ormai vittima di una ripetitività che andrebbe indagata nelle sue cause storiche. Si fanno sempre le stesse cose, senza imparare mai dal passato, senza interrogarsi mai se quel che si è fatto sia il caso di continuare a farlo. L’Italia poi è il paese dei veti, non della decisione, per cui dire e ripetere NO è sempre la cosa più semplice e più facile da fare. Ma per dire NO, basta non stare al governo, così uno rompe ma i cocci non sono suoi.
I NO che ho ascoltato in mezzo secolo pronunciare dalle opposizioni a Lamezia sono un elenco sterminato. Ho ricordato quelli più recenti ed emblematici, il No al Borgo Antico, il No alla terza discarica. Se qualcosa ci annoia è perché risulta ripetitiva e ogni monotonia viene da una certa indolenza o pigrizia di uno spirito che ogni giorno cede il potere alla paura. A causa della paura nel 2020, per la prima volta da quando sono nato, ecco l’eccezionalità, non si è tenuta la Festa di Sant’Antonio. In compenso la Fiera dei santi Pietro e Paolo si è riproposta tale e quale a partire dal 27 giugno.
Perchè Lamezia è come Pianopoli, Platania e tutte le migliaia di piccoli comuni che non possono rinunciare alle loro fiere, vale a dire alle bancarelle e agli ambulanti. Questa è la prova provata che non siamo, come qualcuno pensa, una città, magari accompagnata da un aggettivo, chessò “baricentrica”, “multimodale”, “termale” che possa identificarne la “mission”. No, dall’unione di tre paesi non è nata una città ma un paesotto e se un sindaco qualsiasi ascoltasse qualche commerciante, quelli che con i loro negozi hanno fatto di Lamezia la città terziaria che conosciamo, capirebbe che finalmente quest’anno per la prima volta, intorno al 13 giugno, hanno continuato a vendere qualcosa, al contrario di tutti gli altri anni in cui il caos di una città abbandonata per 6 giorni al caos e agli ambulanti provoca loro un danno perchè nessuno entra negli esercizi commerciali.
Insomma, una festa, con la musica e i cantanti, è una cosa; la fiera paesana con gli ambulanti un’altra. Lamezia sarebbe una città se quello che ha di più bello, i due corsi che si prolungano sino a viale Stazione, diventassero un salotto (tipo corso Vannucci a Perugia), con ristoranti, bar, locali all’aperto e negozi. Non si possono mettere le bancarelle a via Veneto a Roma o a via Monteleone a Milano, tutto qui.
La pedonalizzazione è una necessità, gli ambulanti, i quali da decenni già due giorni alla settimana bloccano una città in zone nevralgiche, sono una corporazione che la politica non deve più subìre regalando loro una città come se fossimo Zungri, Scandale, Petronà, Conflenti…Noi dobbiamo essere Perugia, o qualsiasi altra città. Una cosa sono le sagre paesane, un’altra cosa la devozione religiosa, la seconda non può essere il chiavistello per le prime.
Lamezia deve comunicare lasciandosi il passato là dove deve stare, alle spalle. Se dovessimo adeguarci sempre alle tradizioni le donne le avremmo lasciate ferme ai fornelli. Ho proposto che all’uscita dell’autostrada dove c’è una rotatoria oggi piena di sterpaglie si costruisca un ET gigantesco, con il dito puntato verso il cielo, che abbini la nostra città a questa figura del nostro immaginario, una figura mitica ideata da Carlo Rambaldi che ha saputo parlare al mondo e che è conosciuta quanto Topolino o il Papa. Così non abbineranno più la nostra città, osservandola dall’autostrada, alla Cava di san Sidero ma ad un personaggio che è il simbolo del dialogo necessario con tutti i “diversi” del mondo, il simbolo che ci induce, come Elliott, di nove anni, a non aver paura di nulla. Noi lametini dobbiamo diventare tanti piccoli Elliott e capire davvero chi sono gli alieni da isolare.
Ormai tutte le nostre “tradizioni” vanno sviscerate, per eliminare quelle che sono esauste, prigioni, seghe mentali, retaggi di un mondo che non esiste più. La Lamezia che si ripropone fotocopia di se stessa “tale e quale” è anacronistica, nei suoi No, nella ripetizione costante.
Gli stessi scioglimenti per mafia cosa sono se non l’ennesima ripetizione, così come a seguire i nuovi conteggi dei voti, l’attesa dell’ultima parola della magistratura, le dichiarazioni false di gente che ha contenziosi col comune, sezioni elettorali che non riescono a scrutinare in maniera corretta, presidenti delle medesime sezioni ri-proposti tali e quali. Tutto si tiene e quando la pandemia ci ha costretto a non fare la fiera di S. Antonio, uno conclude: caspita, ci volle una pandemia.