Sbottava con un… mannaggia alla pupazza un mio professore quando noi altri speranzosi liceali, interrogati “sfornavamo” qualche bestialità. Prendo in prestito l’elegante imprecazione, ma ben altri pensieri albergano in me in quanto non è possibile che, in nome di una riforma sanitaria regionale, ancora in mente dei, il nosocomio lametino continua ad essere depauperato di primariati, reparti, strumentazioni, e risorse finanziarie.
Tutto ciò, però, ha radici lontane nel tempo e va inquadrato in due particolari momenti che segnano le diverse sanità esistenti sul territorio peninsulare, tante quante sono le regioni. A ciò vanno poi aggiunte le vicissitudini di quella calabrese, segnata da oltre un decennio da inutile e dispendioso commissariamento e da torbide immancabili vicende di incapacità gestionale condita dal solito, lento ma costante, clientelismo e malaffare.
E’ pur vero che le riforme, suggerite dalla sanità nazionale non ci sono state di grande aiuto anzi abbiamo vissuto, ed ancora stiamo pagando, le conseguenze della tempesta perfetta che ha interessato l’intero comparto.
Il Servizio sanitario nazionale, infatti, istituito per una sanità fruibile dalle Alpi ai Monti Peloritani, gravato prima esclusivamente sul bilancio dello Stato, nel corso degli anni ha subito tanti di quegli aggiustamenti tecnici dai governi in carica, da abbandonare il vecchio sistema di conferimento di risorse finanziarie, dallo Stato alle Regioni in ragione del numero degli abitanti, scaricandone l’onere sui tributi di ogni singola regione (Irap, addizionale regionale Irpef ed entrate proprie degli enti) e, quale misura perequativa, l’intervento del Fondo sanitario nazionale.
La “perequazione”, tesa a colmare gli squilibri economici tra una regione e l’altra, al fine del riparto, per precisa scelta politica, è stata assoggettata anche all’incidenza della spesa storica di ogni singola regione. E’ accaduto , pertanto, che le regioni del sud siano state penalizzate due volte: la prima per avere un reddito pro capite più basso e quindi un minore gettito interno, e la seconda perchè hanno una spesa storica da sempre inferiore a quella dei territori del centro – nord.
Relativamente alla Calabria la storia è talmente nota che è del tutto inutile rinvangarla. I travagli iniziano nel 2009, Berlusconi presidente del Consiglio ed Agazio Loiero, presidente della regione. Il debito accumulato rasentava 1,6 mld, troppo, tanto da provocare l’aumento dell’Irpef e dell’Irap. A seguire a nulla valse la maestria del pibe de oro Scopelliti, presidente e commissario, affiancato da due sub commissari. Niente di nuovo sotto il sole: il solito andamento negativo nell’erogazione dei servizi e nessun miglioramento dei conti.
Ci prova nel 2015 l’ing. Massimo Scura, autore insieme ad Oliverio di un ping – pong che non ha mai avuto fine. Poi, da poco nominato dai gialloverdi al governo centrale, è tra noi il gen. Saverio Cotticelli. Ad oggi comunque, dopo un decennio di commissariamenti, non credo si possa dire che la sanità calabrese abbia fatto un solo passo avanti sulla via del risanamento, né tanto meno, a giudicare dalle premesse, che il nuovo corso della Santelli vada in questa direzione, anzi non esiterei dire che si campa alla giornata, oggi più di ieri. Con una aggravante: Cotticelli, Zuccatelli e tutti i luminari al capezzale dell’illustre inferma, costano almeno 150.000 euro/anno senza contare le spese.
In questo bailamme è chiaro che le vicende relative al nosocomio lametino sono l’ultima preoccupazione del gen. Cotticelli, tant’è che, essendo la coperta corta e stretta si ricorre al solito espediente: si spoglia un santo e se ne veste un altro.
Qualche giorno fa, una postazione Tac da Lamezia è stata dirottata a Vibo Valentia, proprio quando le liste di attesa, come dappertutto, gridano vendetta malgrado il piano nazionale di Governo (PNGLA), che per snellirle stabilisca che, una volta superato il tempo di attesa previsto per legge (120 gg.), il paziente residente potrà recarsi, secondo una specifica procedura, in una struttura privata convenzionata senza costi aggiuntivi. Se… se…la ruota della fortuna gira dalla parte giusta.
Tutto ciò mentre il consiglio regionale, insediatosi da poco gioca a cavacecio, esulta per via di una fantomatica quanto non veritiera “manutenzione normativa“ per escludere l’ospedale lametino dalla costituzione del polo sanitario Pugliese Ciaccio e Mater Domini.
Questo il contesto, nel quale giorni fa, su convocazione del sindaco Mascaro – che probabilmente avverte i malumori della sua cittadina – tutti i sindaci dei comuni orbitanti attorno alla piana lametina si sono riuniti per una valutazione del rinvio, da parte del Consiglio dei Ministri, della legge della Regione Calabria nr. 1 del 30/04/2020 relativa all’integrazione delle aziende ospedaliere Pugliese – Ciaccio e Mater Domini e la conseguente esclusione dell’ospedale lametino.
Lo stesso ministero ha, quindi, proposto la costituzione di un tavolo istituzionale tra i soggetti interessati e cioè la Regione Calabria, le aziende Pugliese-Ciaccio e Mater Domini, escludendo la presenza del nosocomio lametino che nella legge regionale del 2019 era pur uno dei soggetti istituzionali al pari delle altre due aziende sanitarie. Sarà stata una svista o un messaggio subliminale di decisioni già prese?
Sembra questa una vicenda kafkiana, paradossale, di una guerra tra poveri che non hanno capito che il divide et impera non porta da nessuna parte.
Gli stessi sindaci han convenuto di chiedere che a questo tavolo istituzionale sia presente una rappresentanza del Lametino – 150.000 anime – in quanto si dovrà discutere di una programmazione sanitaria integrata della provincia di Catanzaro e dell’intera regione che dovrà tenere nel debito conto tutte le strutture esistenti assegnando ad ognuna la funzione che possa essere utile e funzionale non solo al bacino dei suoi utenti, ma anche a quello dell’intera Regione.
In quest’ottica la nostra governatrice sia presente sul territorio colloquiando con le organizzazioni che lo rappresentano perché, ad oggi le sue ordinanze a raffica sarebbero servite a ben poco se il nostro Dio non ci avesse, nella sua misericordia, tutelati.
Avviso ai naviganti: basta con le parole, dieci anni di commissariamento senza il raggiungimento del benché minimo risultato hanno, vivaddio, un significato: la sanità calabrese va rivoltata come un calzino che tradotto in parole povere vuol dire eliminare gli sperperi prima di tutto e metter su un’organizzazione che anteponga gli interessi del cittadino a quelli di amici, parenti e conoscenti.
C’è bisogno, da queste parti, di fatti e non di sterili enunciazioni o di costosi cortometraggi.
Di questa terra han parlato, col cuore in mano, Repaci, Alvaro e quanti altri. Di tutto il resto, di chi fino ad oggi non ci ha rappresentato e di coloro i quali si accingono a farlo, ma senza una programmazione discussa e condivisa ad angolo giro, possiamo farne a meno.