Sembrava, qualche mese fa, che il mondo della caccia avesse trovato finalmente le orecchie giuste per la soluzione dei suoi problemi. L’ottimismo era dettato dal fatto che il neo assessore regionale all’ Agricoltura, Gianluca Gallo, aveva convocato i referenti delle associazioni venatorie per un confronto sulle problematiche e le prospettive della caccia in Calabria.
“La legge regionale sulla caccia – affermò allora l’assessore Gallo – è obsoleta. Lavoreremo per giungere alla formulazione di una proposta normativa da sottoporre all’attenzione ed al vaglio del consiglio regionale già a settembre, per giungere all’attualizzazione di un piano faunistico che, così com’è, presenta diversi limiti”.
All’ordine del giorno anche la problematica, molto seria, dei cinghiali cresciuti a dismisura nel numero, pericolosi per gli automobilisti e dannosissimi per le coltivazioni agro – alimentari.
Tutti d’accordo, l’assessore Gallo ed i rappresentanti dei cacciatori, sull’opportunità di unire alla caccia di selezione (rivelatasi clamoroso flop) un piano specifico addirittura modificando la legge regionale ed il prolungamento del periodo della caccia in braccata. Il tutto condito con la semplificazione delle procedure in modo tale da semplificare la vita di tutti gli “addetti ai lavori” che tutto sommato, a loro spese e rischio svolgono, piaccia o non piaccia, un servizio sociale.
Parole, parole, soltanto parole tra noi, cantava Mina qualche annetto fa.
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4 ottobre, apertura della caccia al cinghiale. Svaniti tutti i buoni propositi, reso ancora più difficile e laborioso l’accreditamento delle squadre dei cinghialai per via di disposizioni contraddittorie ed ordinanze a go – go. Ci fosse stato nella mente dei nostri parlamentari regionali un solo provvedimento tra quelli trattati lo scorso giugno forse oggi avremmo avuto motivo di credere ad una inversione di rotta.
Macchè, dalla padella alla brace il passo è stato breve! Sentite un po’ cosa è accaduto: prima dei buoni propositi dell’assessore Gallo, le squadre legittimate alla caccia al cinghiale avevano assegnato un veterinario di riferimento che, chiamato alla fine della battuta, sottoponeva i suidi abbattuti agli accertamenti relativi alla legittimazione del loro stato di salute. Per questo servizio ogni squadra, versava alla Regione 50 euro/anno. Una miseria? Ne parleremo tra poco.
Dalla sera al mattino il servizio è stato sospeso! Sono i cacciatori che, prelevate le parti da sottoporre ad analisi, il giorno successivo alla battuta devono recarsi all’ufficio veterinario indicato per consegnare ghiandole e diaframma del suide ucciso, entro lo spazio temporale compreso tra le 8:00 e le 10.00.
E’ pur vero che ogni anno il cacciatore versa all’erario 173,0 per concessione governativa, 102,0 euro alla regione di appartenenza, 15,0 euro alla Atc provinciale, poi altri balzelli ed assicurazione.
A monte di ciò ogni squadra legittimata alla caccia al cinghiale ha almeno uno o due “cacciatori formati” titolo che si acquisisce dopo aver frequentato l’apposito corso istituito a pagamento dal dipartimento regionale – euro 68 a persona – che rende idonei a riconoscere se il capo abbattuto è affetto da tubercolosi, trichinella (qualora la squadra dovesse trasformare il suide in insaccati e venderli).
Praticamente gli oneri di competenza del dipartimento Agricoltura, già abbondantemente” foraggiato”, è stato riversato sui cacciatori sia in termini economici che temporali.
Premesso che parlo a ragion veduta appartenendo alla categoria – mio peccato veniale o mortale – ho “patito” in prima persona, lunedi 5 u.s. la disorganizzazione del servizio consegna “REPERTI ANIMALI” all’ ufficio indicatomi, che prima di procedere all’accettazione, ha chiesto autorizzazione a non so chi della Regione. Ma l’ora (8,00/10,00) probabilmente non era quella giusta.
Tutto ciò accade in Calabria, mentre dalle Alpi alle Piramidi i media non fanno altro che dedicare ampi spazi all’emergenza cinghiali che, andando avanti di questo passo, finiremo per trovarceli a bussare, alla ricerca del cibo, alla porta di casa. Tutto ciò in ossequio al nostro afflato ed alle paturnie, anche condivise, per il rispetto dovuto al mondo animale, giusto e sacrosanto, però… con le dovute distanze dal mondo che quasi quotidianamente ci presenta la Brambilla nei suoi spot pubblicitari, che vorrei vedere come se la caverebbe difronte al contadino che si ritrova i campi devastati dagli ungulati.
Per effetto dei quali si registrano ingenti danni all’intero settore agricolo regionale, aumentati rischi per l’incolumità delle persone nonché ripercussioni negative sull’equilibrio ambientale e costosi risarcimenti a chi vive con i prodotti dell’agricoltura.
Per effetto di ciò non c’è di meglio che prevedere l’impiego di cacciatori selezionati, autorizzati allo spostamento nell’ambito del territorio regionale, per l’abbattimento dei suidi molesti o tanto audaci da invadere i centri abitati.
Lo prevede l’ordinanza nr. 42 della Santelli, che…viste le condizioni di cui sopra, ripristina l’istituto del “cacciatore selettore”: una “baggianata” che avrei definito con altro dire, ma non oso. Sottolineo, però, che la formazione del selettore grava sempre sul bilancio del cacciatore che si offre, oltre a dover dare la sua disponibilità h 24 e dovere essere munito di carabina, disponibile a raggiungere la destinazione che gli viene segnalata per l’abbattimento del suide.
A parte l’efficacia del provvedimento – olio essenziale sulla parte dolorante – la preparazione del cacciatore selettore è a carico dello stesso e le “nozioni” gli vengono “impartite” da chi, probabilmente, non ha mai tenuto un fucile in mano.
Allo stato questo è quanto accade in Calabria, malgrado i buoni intenti dell’assessore Gallo che tenta in ogni modo di sfruttare la passione degli “ultimi mohicani” per salvare le capre mandando ramengo i cavoli.