Con decreto del presidente del consiglio dei ministri, la Calabria è stata interamente chiusa dal governo e dichiarata zona rossa. La misura governativa, si badi bene, non è stata determinata dall’aver scoperto che da noi il numero dei contagiati sia sproporzionato e quindi allarmante rispetto alla popolazione residente nella regione; questo numero si è mantenuto finora, grazie al Cielo, piuttosto basso ed infatti il rapporto tra positivi al Covid, infettati e contagiati, potenziali ammalati, ammalati da ricoverare in terapia intensiva e totale della popolazione è sotto controllo e gli indici che misurano la dinamica di tutti i fenomeni legati alla pandemia sono, al momento, gestibili senza affanno alcuno.
Qual è allora il motivo per cui il governo con il suo decreto ha colorato di rosso la Calabria imponendo per essa la chiusura totale ed ha indotto a scendere in piazza a protestare l’inclito, il colto e lo stronzo? Esso risiede nel semplice fatto che solo adesso si sia scoperto che la Calabria è priva di un “Piano anti-Covid” e che i posti in terapia intensiva sono così pochi (chi dice alcune diecine, chi un centinaio, anche in questo in Calabria non si riesce ad avere dati certi!) che se il virus dovesse assumere una diffusione pari ad altre regioni del centro-nord, sarebbe impossibile ricoverare e curare gli infettati che ne avessero necessità e si verificherebbe una morìa di anziani e meno anziani dalle dimensioni inimmaginabili.
Qui è necessario ricordare che la ‘sanità pubblica’ italiana – che in base alla sciagurata riforma del titolo quinto della Costituzione, formulata e varata da una governo retto da una maggioranza di centro sinistra, è stata regionalizzata, così come lo sono stati altri fattori strategici della vita nazionale – è diventata, in quasi tutte le regioni meridionali, un sistema che, da un lato, eroga, salvo eccezioni, servizi di basso livello e dall’altro è fortemente indebitata.
Da questo punto di vista la Calabria rappresenta un caso particolare, un caso di scuola, perché la sanità è diventata ancora più disastrata e carente, ancor più piena di debiti e si è impoverita in tutti i sensi; la sanità calabrese è incapace insomma di svolgere adeguatamente il compito di prevenzione, cura e presidio sanitario delle patologie di vario genere.
Sulla sanità si sono abbattuti in questi decenni, fino ai nostri giorni, sciagure e tsunami di ogni genere. Basti pensare che le aziende provinciali (Asp) sono commissariate perché sciolte, non so dire se tutte e tre o solo alcune di esse, per infiltrazioni malavitose; l’intero comparto è oberato da debiti e, per questo è commissariata da anni.
Per ultimo, due anni fa, il governo Conte-Di Maio-Salvini è intervenuto per nominare un nuovo commissario ad acta, nella persona del generale a riposo Cotticelli (non capisco cosa ci azzecca un generale in pensione con la sanità e la salute, così come non ho mai capito che cosa ci abbia azzeccato la nomina di un questore della polizia a presidente della S.A.Cal. da parte della precedente amministrazione regionale a guida Oliverio) con il compito precipuo di farla rientrare entro i parametri di una gestione finanziaria sostenibile. È stato perciò gioco forza per i commissari, che negli anni si sono succeduti, ridurre il numero dei servizi in alcuni presidi ospedalieri, o chiuderli del tutto, o ridimensionare il personale medico, paramedico, infermieristico che vi lavora. L’obiettivo principale, se non l’unico, della strategia commissariale è consistita nel tentare di ridurre la montagna di debiti da cui è sommersa e sta soffocando la sanità calabrese attraverso una serie di dolorose amputazioni.
Ecco perché sono penose le proteste di tanti politici che reclamano a gran voce la fine del commissariamento, come se fosse questo ad aver causato la situazione debitoria e non invece la scandalosa inadeguatezza delle amministrazioni regionali, di centro-sinistra e di centro-destra, che si sono susseguite alla guida della regione in questi decenni, da quando la sanità ha cessato di essere un servizio nazionale diretto dal ministero della salute, per essere gestito dai caporioni politici regionali e locali che l’hanno trasformata in una mucca da mungere per i bisogni delle loro clientele politiche e per i propri interessi privati.
C’è da aggiungere una circostanza, forse ignorata dai più, e che rende più ipocrita e vile l’atteggiamento dei politici calabresi che chiedono la fine di ogni commissariamento: cioè che è stata “la Regione Calabria a chiedere, con deliberazione della Giunta regionale 9 novembre 2007 n. 695, al Governo nazionale l’attivazione della procedura di cui all’art. 1, comma 180, della legge 311/2004, finalizzata alla sottoscrizione di un accordo sul Piano di rientro” e quindi alla nomina da parte del governo nazionale di un commissario ad acta! Uno dei primi commissari, se non il primo, forse, per l’attuazione del piano di rientro della sanità calabrese è stato Giuseppe Scopelliti, ex presidente della giunta regionale che in seguito sarebbe stato sottoposto a processo e condannato in via definitiva ad oltre 4 anni di carcere ed all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Un altro motivo che ha alimentato la bancarotta del sistema sanitario calabrese è l’indebitamento ch’esso ha verso la sanità di tante altre regioni centro-settentrionali (Lombardia, Emilia e Romagna, Toscana, Piemonte, etc. etc…). Si tratta della mobilità sanitaria passiva a proposito della quale, presentando al Consiglio per l’approvazione il bilancio consuntivo dell’anno 2019 della regione, l’assessore al ramo, Talarico, ha affermato che il debito della sanità calabrese verso le altre regioni ammonta, se non ricordo male, per il 2019 ad oltre 280 milioni di euro. Avete capito bene: la regione Calabria versa, annualmente, a tante altre regioni del centro-nord, per pagare i debiti che sono contratti in seguito alle cure a cui tanti cittadini calabresi ricorrono, una cifra così rilevante come quella appena citata. Evidentemente, una moltitudine di calabresi non si fida delle prestazioni erogate dalla sanità della loro regione ed appena ha il sospetto di avere un malanno, serio o meno serio, che l’affligge, corre a curarsi a Milano, Pavia, Bologna, Firenze.
Che fare arrivati a questo punto? Saverio Cotticelli, copertosi di ridicolo per la sua ineffabile intervista, ed ancor più nella trasmissione “Non è l’arena” di Giletti è già stato sostituito con Giuseppe Zuccatelli – orbitante della sfera Bersani (ex Pd) e Speranza (Leu) nelle cui liste è stato candidato non eletto – che non dovrà fare altro che continuare a tagliare perché proprio per svolgere questo compito è stato nominato. Speriamo che lo sappia fare con oculatezza e meglio di quanto non abbia saputo fare Cotticelli rivelatosi un autentico incapace, nominato per quel compito dai suoi mandanti a 5-Stelle, il ministro della salute Giulia Grillo, grillina di nome e di fatto, e rivelatosi l’uomo sbagliato al posto sbagliato.
Penso tuttavia, che nominare un nuovo commissario sia meglio del ripristino della gestione da parte degli organi regionali. Avrebbe significato cadere dalla padella nella brace e cioè rimettere in moto il metodo della vacca da mungere con la prospettiva che la sanità, allo stato pessima, affondi nei debiti, frodi e furti ed affoghi del tutto.
Sono convinto, però, che la soluzione migliore, in prospettiva, abbastanza breve sarebbe quella di levare la sanità alle regioni e ricentralizzarne la gestione.
Anzi, sarebbe meglio abolire del tutto le regioni, che si sono dimostrate un tumore politico, per molti aspetti, della vita nazionale. Con la richiesta della famigerata autonomia differenziata c’è da temere, se essa dovesse essere trasformata in legge, che alcune di loro (in primis Veneto, le cui continue e tracotanti esternazioni del presidente Zaia non lasciano dubbi in proposito, e Lombardia, leghiste) attentino persino, all’unità stessa della nazione; la soluzione più opportuna, se non è possibile al momento abolirle, è quella di ridurne i poteri che, ripeto, l’oscena riforma del titolo quinto della Costituzione ha esteso in modo ipertrofico ed allarmante.
Verso questa direzione sembra vogliano dirigersi i partiti che formano il governo: M5stelle, Pd, Italia Viva e Leu, secondo quanto pare sia stato trattato nella verifica dei responsabili dei quattro partiti nell’ultimo vertice di maggioranza tenuto nella notte tra 6 e 7 novembre u.s.
Sarebbe senz’altro una bella vittoria; sarebbe la vittoria del buon senso; se non l’abolizione tout court delle regioni almeno una riforma in senso restrittivo della normativa che attualmente dà tanto potere di interdizione nei confronti dello stato centrale, fino a paralizzarne l’azione politica generale e complessiva. Questo consentirebbe di rendere la gestione della politica italiana più centralizzata e meno divisiva e rissosa e farebbe abbassare la cresta a tanti presidenti delle giunte regionali che, auto-investitisi del titolo di governatori, altro non sono, dal punto di vista politico, che dei piccoli, incapaci politicanti in cerca di sistemazione per se stessi e le loro variegate clientele.