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IL LAVORO IN MERIDIONE TRA FEUDALESIMO ED AVANGUARDIA NEOLIBERISTA
Benvenuti in questo mondo equo nel ripartire gli oneri ed iniquo nel distribuire i privilegi

Tanto perché il simulacro della giustizia sindacale mostri di tanto in tanto abbattuta ai suoi piedi la periodica offerta sacrificale, qualche geldra di imprenditore (chiamiamolo così) viene immolata una tantum agli onori della cronaca. Fra noi si usa così, anche perché l’ingranaggio deve rendere il sospetto della sua rivoluzione, affinché circoli tra i profani la subito smentita, solluccherevole sensazione dell’incipit vita nova.
Il recentissimo tributo offerto in specie di due fior di imprenditori locali, ha più l’aria di un tiro mancino giocato ai due suddetti: “Perché mio Dio, fra tanti, proprio io”, sarà la loro masticatissima litania di questi giorni.
È vero che i loro sottoposti erano in perfetta regola. Contratto part-time di 20 o 25 ore settimanali. Se poi per esigenze interne, in modo solennemente facoltativo, qualcuno di suo personalissimo arbitrio dovesse fare oscillare le sue turnazioni sino ai fastigi di un full time di 50 o 55 ore lavorative settimanali, di che deve impicciarsi la farraginosa legislazione lavorativa, con la sua solita retorica del caporalato?
Ma il fatto in sé costituisce solo un pretesto, la corte dei miracoli, la summa di un modus la cui resistenza va ricercata, oltre che nello sciacallaggio della crisi collettiva, in un atteggiamento di subordinazione psicologica che fa capo alle culture medie. Ciò dovrebbe servire a inaugurare un più ampio discorso.
Risulta facile dare di corna contro la solita asperità del cammino imprenditoriale giù in meridione, o contro le convenzioni preventive, extra contratto collettivo, del “questo posso darti o nulla”: un’etica frettolosa ma nondimeno efficace sbrigherebbe la questione col truismo della non necessità di personale assunto laddove i giri d’affari siano magri, e viceversa con la loro perfetta e sacrosanta quadratura laddove invece siano prosperi. Ma non siamo ingenui fino a questo punto. La verità è che – prosperità o scarsezza – non si può fondare la sopravvivenza di un organo foss’anche incerto, come il dinamismo imprenditoriale impone, sulle spalle di un lavoratore il cui medio e invariabile emolumento è appunto giustificato e fissato sulla minima esposizione che deve opporre alle crisi contingenti della macrostruttura. Se ciò sembrasse troppo cattedratico e distante dalla pragmatica popolare del “chi ti dà il pezzo di pane è sempre un santo”, di sicuro è un fondamento costitutivo di ogni buona logica di responsabilità e di equità. O forse siamo soggetti ad una contingenza di diritto per cui si è uguali e dissimili a seconda della circostanza?
Questo è il ragionamento del famoso costruttore navale Del Prà in “Ricchi, ricchissimi, praticamente in mutande”, che allorché si navigava in acque sature di avvisi di garanzia indulgeva nella fraterna convizione che in fondo si era tutti un’affabile famigliola, ma, puta caso, se i tempi fossero stati migliori i bonus di buon rendimento sarebbero certo stati appannaggio della sua paternalistica bontà individuale.
A ciò è servito, in questi ultimi decenni, dare in pasto la prospettiva occupazionale quasi integralmente ad un settore privato che ha nel frattempo decisamente mutato i suoi schemi lungo la tangente “delle nuove sfide economiche”, le quali, a ben vedere, non hanno consultato nessuno di noi prima di impiantarsi. Ma la validità di una sfida, fino a prova contraria, riposa sulla libera adesione di ambo i contraenti. Seppure schiaffeggiato col guanto potrei anche non coglierla.
“È così e basta” mi suggeriscono dalla regia. E ciò sa più di dogma che di autentica felice pianificazione.
Oggi mentre il lavoro pubblico, in prevalenza fisso, è tacciato di parassitismo da uno slogan che dire funzionale al vero potere è riduttivo, mentre si esercita strenuamente una rivalutazione dei diritti al ribasso, pretendendo la cessione graduale di questi ultimi e sforbiciando dove paiono eccessivi anziché sollevare al livello dei più elevati quelli che si trovano ad un livello di inferiorità regressiva , si esige una eterna guerra dei poveri per poter nel frattempo imperare indisturbati nel dominio della manipolazione. La verità è che il posto fisso continua a far paura ad un certo potere di contrattazione poiché continua con tutti i suoi limiti a mantenere l’asticella sospesa ad una certa altezza “costituzionale”, ed ha il pregio di valere come indiscutibile termine di paragone.
Benvenuti nell’ortodossia neoliberista, Signore e Signori, in questo curioso mondo, equo nel ripartire gli oneri di rischio ed iniquo nel ripartire i privilegi di chi riposa sul cranio del mondo esprimendo dalla sua cannuccia bolle “speculative” di sapone.