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NON SI CRESCE IN ITALIA SE NON SI RIPRISTINANO MERITO E COMPETENZE
Basta con i populismi. L’importante è che i salari siano dignitosi, le tutele socio -sanitarie effettive e che non ci sia disprezzo per chi fa umili lavori. Ma un capo del governo, un ministro deve essere all’altezza del compito. Il chiunquismo ed il flippismo non ci portano da nessuna parte.

Trump è caduto ma in Italia il populismo è ancora largamente egemone. Il pd non intende affatto far prevalere la cultura del merito. Il chiunquismo (tutti possono fare tutto) e il flippismo (a caso si può decidere tutto o eleggere i deputati) avanzano a scapito delle competenze. Di tanto in tanto sembriamo renderci conto che nei posti giusti dobbiamo metterci persone di valore e competenti, o che i titoli di studio non devono essere farlocchi. Ma sono fuochi di paglia, si continua con lo Stato assistenziale che deve assicurare a tutti un reddito, qualsiasi cosa uno faccia o sappia fare, si continua con le nano imprese in un paese dove su 60 milioni di abitanti ne lavorano solo 23. Ma un paese che non cresce non assicura un futuro per i suoi giovani. Mi dilungherò per spiegare perchè quest’ultima non sia una frase fatta o uno slogan.
Il dibattito sulla meritocrazia è sempre vivo e si allunga la lista degli accademici americani che criticano la meritocrazia, facendo contenti molti politici e sindacalisti italiani, quelli che con la scusa del cristiano “siamo tutti uguali” non amano selezione, concorsi, e prediligono sanatorie, ope legis, ristori, redditi di cittadinanza o salario minimo a tutti.
Michael Sandel (Lo studio non è risolutivo) e David Goodhart (Così sono nati i populismi) criticano la nuova élite che chiamano «cognitiva». Come molti altri ritengono che essa guadagni troppo perché la meritocrazia dà una giustificazione morale alle disuguaglianze rendendole accettabili. Sandel sostiene che l’ideale di successo posto al centro del principio meritocratico è socialmente corrosivo perché fondato sull’individualismo e la competizione, sul disprezzo per chi non ha studiato e non ha avuto successo. Dunque, sarebbe proprio la frustrazione dei due terzi degli americani per non essere socialmente rispettati la causa della vittoria di Trump (il suo elettore target è un maschio bianco non laureato).
In Italia, d’altro canto, che un uomo senza qualità come Di Maio sia diventato ministro degli Esteri e prima capo politico di un movimento inventato da un comico, sono fenomeni riconducibili al cd populismo. Il chiunquismo (tutti possono fare tutto) e il flippismo (a caso si può decidere tutto o eleggere i deputati) avanzano a scapito delle competenze. Sembra ovvio e normale che un generale diventi commissario alla sanità in Calabria, poi che venga sostituito da un superpoliziotto, insomma non c’è forza politica che avanzi la proposta di mettere al posto giusto una persona in grado, per i suoi studi ed attività pregresse, di comprendere e risolvere i problemi. Nel contempo, di tanto in tanto, si veda il caso del calciatore Suarez e dell’università di Perugia, si fa finta di scandalizzarsi perchè dispensiamo titoli di studio farlocchi.
Lo stesso Covid ci ha fatto capire alcune cose. Innanzitutto, mentre ci ha fatto esaltare i lavori «essenziali» come infermiere e fattorino, ha drammaticamente peggiorato le loro condizioni di lavoro e di rischio, senza affatto migliorare le loro prospettive economiche. Anzi ha creato voragini di disoccupazione e povertà proprio nei gruppi sociali con basso livello di istruzione garantendo soltanto l’inamovibile impiego pubblico, dove succede che un prof non deve fare la dad se c’è allerta meteo! E la didattica a distanza penalizza proprio le classi meno abbienti.
In secondo luogo la stessa pandemia ci ha fatto capire che nelle Regioni non possiamo avere tanti assessori Gallera e che al governo occorrono veri competenti. Vuoi essere Ministro della Sanità o fare il commissario alla sanità in Calabria? Puoi esserlo se soddisfi i requisiti minimi: forse un PhD in materie affini e una esperienza di gestione di sistemi sanitari e civili complessi?
Insomma, ogni populismo, incapace di risolvere qualsivoglia problema reale, è ormai evidente si batte con la meritocrazia. Occorrono medici, ministri, capi del governo, professionisti bravi. Occorre studiare con rigore, selezionare i migliori a prescindere dal reddito della famiglia di origine, incentivare la concorrenza, battere le concentrazioni, i monopoli e le rendite.  Vi sembra che il pd di Zingaretti ragioni in questi termini o, con la scusa della lotta alle disuguaglianze, appoggi il chiunquismo dei cinquestelle o l’antimeritocrazia dei sindacati e delle plebi meridionali?
E’ evidente il fatto che la meritocrazia ha creato una nuova élite della conoscenza come dimostrano le classifiche dei nuovi miliardari, che vedono in testa imprenditori dell’high tech e professionisti di una finanza sempre più sofisticata. Non è che chi studia sia «persona migliore» di chi svolge lavori manuali ma nessuno al mondo potrà impedire che uno scienziato che inventi cure per il cancro debba guadagnare di più di un semplice scaricatore di porto, o che un divo del cinema o del calcio diventi ricchissimo. L’importante è che i salari siano dignitosi, le tutele socio-sanitarie effettive, e non ci sia, come avviene in America, disprezzo per chi fa lavori umili. Ma un capo del governo, un ministro, deve essere all’altezza del compito, non uno che improvvisa e si arrangia. La responsabilità per i risultati deve prendere il posto dell’irresponsabilità italiana dove nessuno, attraverso lo scaricabarile, è mai responsabile di alcunchè. La diseguaglianza cioè non si riduce invitando a studiare meno e gratificando i poveri e sottopagati con l’elogio dell’importanza del loro lavoro, dichiarando per di più guerra alla selezione competitiva.
L’economia italiana è la cenerentola europea per il peso del proprio debito pubblico ma anche perché ha un tasso di crescita troppo basso da molto tempo. Il gran debito è sorto decenni fa – negli anni Settanta, con l’estensione dello Stato sociale privo di un gettito fiscale adeguato. Da allora il debito non è mai sceso per davvero. La crescita minuscola dipende anche dal peso delle nano-imprese.
In Italia, su sessanta milioni di abitanti, solo 23 milioni lavorano. I disoccupati prima del Covid non sono molti, 3 milioni, mentre molti sono gli inattivi sia in età di lavoro, 13 milioni, sia in età non di lavoro, 20 milioni. Quelli che lavorano sono quasi tutti occupati nelle imprese con al massimo dieci dipendenti.
Le imprese italiane di piccola dimensione hanno una produttività inferiore a quelle delle imprese tedesche e francesi della stessa classe, mentre quelle di dimensione maggiore hanno una produttività eguale o maggiore. Dunque il punto non è l’italianità incapace di fare industria e/o l’euro che ci ha rovinati. I salari possono salire stabilmente – e quindi aiutare il finanziamento sia della spesa pubblica attraverso le imposte sia di quella pensionistica – solo se aumenta la scala delle imprese e quindi il valore aggiunto generato dalle stesse.
La crisi è in corso ovunque, ma in Italia è aggravata dal gran debito e dalle nano imprese.
Il fabbisogno dello stato da finanziare è pari alle obbligazioni emesse per far fronte al deficit esploso per la crisi, sommato alle obbligazioni che vanno in scadenza. Esso sarà di 500 miliardi di euro sia quest’anno sia l’anno prossimo. Gli acquisti delle istituzioni europee, soprattutto della Bce e in misura ancora modesta del NextGenerationEu, sono pari alla metà. Perciò, se si volesse sostituire l’intervento europeo nel finanziamento del fabbisogno, come adombrano alcuni sovranisti, si dovrebbero trovare ben 250 miliardi di euro quest’anno e l’anno prossimo.
La crisi in corso è una punizione della Merkel o dei nostri peccati pregressi? Possiamo ancora sperare di risollevarci? Magari investendo oltre ai fondi del Mes, quelli del NextGenerationEu? Questi fondi, che arriverebbero poco alla volta, sarebbero investiti nell’ordine: nella rivoluzione verde, nella digitalizzazione, nelle infrastrutture, e così via. D’accordo.
Ma se non decidiamo di ripristinare il merito e le competenze, in Italia non si cresce. Il pd, o quella che si chiamava sinistra, da quest’orecchio non ci sente.