Corrado Augias, qualche giorno fa, nel corso della sua trasmissione ‘Quante storie’, parlando dell’ultima indagine di Gratteri, Basso Profilo – quella relativa agli uddieccini on. Lorenzo Cesa e Franco Talarico, nonché ad altri professionisti, politici, ‘ndranghetisti ed affaristi e facendo anche riferimento al processo Rinascita Scott, 300 imputati, in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme, ha espresso, piaccia o non piaccia, il suo giudizio sulla nostra terra: la Calabria è purtroppo una terra perduta, io ho il sentimento che la Calabria sia irrecuperabile.
Nei primi giorni del mese in corso, esattamente il 3 gennaio, scrivevo su questo giornale : Se possibil fosse, da calabrese mi dimetterei! Fatti e misfatti non definibili diversamente fino a quando non vengono classificati come reati, si susseguono un giorno dopo l’altro, nell’indifferenza e nell’ignavia di una popolazione che ormai non batte ciglio neanche difronte alle malefatte di una classe politica arrogante e corrotta.
Mi riferivo al malcostume imperante su tutto il territorio nazionale – particolarmente in Calabria dove si susseguono scandali a piè sospinto – che da un cinquantennio, avvento del regionalismo, fa registrare un maggior numero di connivenze politiche/mafiose in cui il voto di scambio la fa da padrone, non senza tacere di appalti pilotati, di inevitabili intrallazzi di nepotismi e di bandi di concorso a misura di candidato e quant’altro.
Basta guardare, non negli archivi giudiziari pieni di tante scartoffie relative a “peccatucci veniali e mortali”, ma alle cronache quotidiane dei canali informativi.
A fronte della gravità degli ultimi accadimenti mi fa specie, pertanto, che in preda a sacro furore e maschio calabro orgoglio, il sentimento di Augias (la Calabria è purtroppo una terra perduta) abbia sollevato ingiustificate reazioni e, soprattutto, rispolverato i soliti refrain riconducenti a Leonida Repaci ed al giorno in cui il buon Dio creò la Calabria, gran capolavoro, dal Sommo benedetta, ma mal gestita dai suoi figli evidentemente non prodighi.
Trovo, quindi fuori luogo, che anzichè proporre con forza il difficile equilibrio fra la necessità di assicurare la trasparenza dell’agire politico/amministrativo e garantire l’immagine e la reputazione di noi tutti calabresi, nel mondo “cartellinati” mafiosi impenitenti, si continui a crogiolarsi nel mare e nel sole.
La gran verità è, invece, che urge quanto mai togliere la politica ai delinquenti e la delinquenza ai politici.
Siamo arrivati al punto che la corruzione dilaga mentre “io non sapevo” o “mi avvalgo della facoltà di non rispondere” sono le risposte ricorrenti in qualsiasi vicenda giudiziaria con conseguente assoluzione. Sembra quasi che la giustizia non sia, malgrado l’ostentazione, uguale per tutti se in galera finisce chi ha rubato il formaggio al supermercato mentre qualche altro si sciacqua gli zebedei nei caldi mari del sud di questo mondo.
*E così celebriamo il trionfo del voto di scambio alla base di ogni rapporto tra politici e mafiosi, quando addirittura non nascono sodalizi finalizzati al raggiungimento di reciproci interessi economici.
A me cittadino dell’incertus an e dell’incertus quando non me ne frega più di tanto, mi interessa invece sapere quanti, ad oggi, sono stati condannati per violazione dell’art. 416 bis o ter! Ed è qui che mihi ceciderunt brachia.
E’ chiaro come il sole che nell’attuale legislazione – ormai annosa polemica – il voto di scambio è mal disciplinato e rappresenta una lacuna del nostro sistema giuridico, come riconosciuto da grandi giuristi.
Ho anzi l’impressione – o come dice Augias – il sentimento, che colmare le lacune giuridiche del nostro ordinamento non sia, e non è stato, di gradimento a tanti inquilini del Palazzo e che le organizzazioni all’uopo costituite – dai fulgidi natali e dagli adamentini intenti – siano finite nella melma paludosa del malaffare, travolgendo alme d’eroi e prodighi banditori di sante crociate.
In verità, a parte le lacune giuridiche e l’antimafia da operetta gridata dall’alto di palchi e consessi per consenzienti, a parte quell’art. 416 ter c.p. che i giudici di trincea definiscono più favorevole all’imputato che al magistrato inquirente, vi pare che ci sia stata da parte di chi ci governa la volontà di mettere la parola fine ai tristi connubi politica/mafia, che in Calabria, più di ogni dove, hanno trovato l’humus adatto per crescere e prosperare?
Non credo che Augias con la sua affermazione abbia voluto buttare la croce addosso ai calabresi, anzi penso abbia voluto lanciare un segnale a chi nel Palazzo predica bene e razzola male.