Se ci fate caso, i dati italiani sui quali impostare un qualsiasi ragionamento politico debbono essere sempre “allarmanti”. Su 7, 7 miliardi di abitanti della terra soltanto 1 abitante su 6 (meno del 17 %) ha tutto ciò di cui dispone un italiano (dall’ acqua alla elettricità, ai servizi igienici, al welfare…). Eppure sono anni che tutti i politici di qualsiasi colore ci ripetono di continuo che le nostre disuguaglianze sono aumentate nel tempo. All’uopo abbiamo il reddito di cittadinanza che ci costa 7 miliardi, i bonus bebè, giovani, cultura, quota 100, mentre il Rei (reddito di inclusione) della ministra Livia Turco fallì già nel 1997. La povertà aumenta, si giura, ma se i miei coetanei pensano alle nostre classi di scuola elementare (anni cinquanta-sessanta) il confronto Secondo l’ISTAT ci sono poco più di 5 milioni di poveri assoluti e quasi 9 milioni di poveri relativi. Cioè si dovrebbe immaginare che su 60 milioni di abitanti un quarto (circa 15 milioni) non arrivi alla seconda settimana del mese (poveri assoluti) e alla terza (quelli relativi).
Ma se così fosse non si capirebbe perchè i gilet gialli non siano nati da noi.
Quello che tutti fingono di non sapere è che queste cifre vengono calcolate dalla statistica sulla base di semplici autocertificazioni delle famiglie. Se fossero come quelle dell’Isee, di cui parlerò alla fine, sulla base dell’ultima indagine della Guardia di Finanza dovremmo ritenerne false almeno il 60%.
Il fatto è che la povertà italiana viene analizzata senza saper distinguere la sua composizione tra stranieri e autoctoni oltre che la sua distribuzione territoriale, con le correlazioni tra lavoro sommerso, evasione fiscale e contributiva ed età della popolazione. Ma soprattutto senza nessuna capacità e voglia di ricercare le “cause” che hanno prodotto la povertà, distinguendo in essa la quota non riducibile, quella di poveri “fisiologici” legati ai rischi della vita umana (tra il 3 e il 5% della popolazione). Una ricerca seria dovrebbe consentire alla politica di proporre misure per limitarla se l’obiettivo fosse quello di comprendere esattamente il problema e non si agisse sempre attraverso la demagogia del perenne clima elettorale che porta a ricercare consensi dovunque. Insomma, per promettere sussidi a tanti e ottenere i loro voti bisogna fingere che siano tanti ad aver bisogno di quei sussidi.
La stessa nuova storiografia neoborbonica meridionale ha lo scopo non tanto recondito di giustificare un Sud depredato così come la linea della Svimez alimenta da tempo una retorica risarcitoria, secondo cui le parti più dinamiche e avanzate del paese, che si trovano prevalentemente al nord, dovrebbero “restituire” risorse economiche al Mezzogiorno. Proprio il presidente della Svimez Giannola sostiene che il Sud merita di essere “risarcito” perché, come affermato anche dall’ex ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, negli ultimi dieci anni il centro-nord avrebbe sottratto al Meridione circa 60 miliardi di euro ogni anno. In altri termini il centro nord dovrebbe trasferire risorse pari a due volte il gettito nazionale dell’Ires, che è pari a circa 30 miliardi! Alla base c’è sempre l’idea che i problemi storici del Mezzogiorno, aggravati dalla crisi Covid, si risolvano con una pioggia di soldi nazionali o europei.
Ma cerchiamo di capire davvero chi sono i poveri. Una buona parte di essi (almeno 7,5 milioni sui 14 milioni tra poveri assoluti e relativi) sono quelli con “povertà educativa e sociale”, cioè assommano la condizione di bassa formazione scolastica con la modesta capacità di assumere decisioni anche non complesse. Sono tutti quelli che non sanno amministrarsi, tenersi un lavoro, perché diventati vittime di ludopatie e dipendenze da droghe e alcool, perché seguono una cattiva alimentazione e hanno stili di vita poco salutari. Se sono capifamiglia tutte queste persone condizioneranno i loro figli e familiari, li trascineranno nel loro abisso senza capacità di lavorare e ottenere un reddito anzi fornendo esempi negativi in un circolo vizioso. Quindi i bambini con povertà educativa e sociale provengono da famiglie con almeno un componente che ha problemi con la giustizia, di ludopatia, di alcolismo o tossicodipendenza.
Già in questo modo spero si capisca che invece di dar soldi a vanvera o ai mafiosi finti nullatenenti uno Stato serio dovrebbe tutelare i minori e monitorare seriamente le famiglie.
Poi ci sono in aumento i nuovi poveri, separati e divorziati, ormai diventati oltre 1.672.000, con molti nella fascia 55-64 anni e spesso senza una casa. Insomma, la colpa della povertà non è sempre dello Stato o del sistema ma degli individui e dei territori. Se gli italiani spendono 127 miliardi per il gioco d’azzardo, cioè più dei 116 per la sanità, si precisa meglio il fumoso concetto di “povertà educativa”? La colpa delle istituzioni è semmai quella di aver permesso che nel paese la povertà educativa dilagasse insieme con l’accentuazione sulla mistica dei diritti sganciati da qualsivoglia dovere.
Vi ricordate quel ministro buontempone che gridava da un balcone di aver sconfitto la (sua) povertà? Bene, e se sapeste che un Paese è stato capace di far lievitare il conto in banca della sua popolazione più povera da un anno all’altro di quasi 20.000 euro per ciascuna famiglia, ci credereste? Se scopriste che in quel Paese i nuclei familiari privi di patrimonio sono passati da 4 milioni a soli 360.000 nell’arco di pochi mesi, non pensereste che sia avvenuto un miracolo sia pure economico? “Non la definireste la più grande politica di aiuti sociali mai vista nella storia? Non citereste quel Paese come esempio a ogni discussione politica? Non vi piacerebbe visitarlo?”. Solo che i grillini non c’entrano nulla, anche se tutto questo è avvenuto in Italia a cavallo tra il 2014 e il 2015. Non ne ha parlato nessuno e se mi avete seguito fin qui forse capite perché.
Ovviamente non si è trattato di una crescita reale di ricchezza, ma con la riforma dell’ISEE («Indicatore della Situazione Economica Equivalente») c’è stata la più clamorosa emersione dal nero che sia mai stata misurata. L’Isee è uno strumento fondamentale per accedere a un grande numero di aiuti da parte dello Stato: social card, esenzione ticket sanitario, bonus libri, dentista sociale, assegni familiari, sconti in bolletta, canone Rai ridotto e ora reddito di cittadinanza, solo per citarne alcuni.
Noi italiani siamo così, ci trasciniamo i problemi come se fossero irrisolvibili per poi scoprire che se li studi bene la soluzione la trovi. Ma è il verbo “studiare” che agli incompetenti non piace.