Don Giulio Fazio (1940-1999) apparteneva alla generazione di don Pasquale Luzzo e don Vittorio Dattilo, vicini per sensibilità e impegno sociale a don Saverio Gatti.
Era la prima generazione di sacerdoti postconciliari e questo fu determinante nel loro apostolato. Piccolissimo, era rimasto orfano di padre quando Beniamino Fazio, militare, annegò in mare il 28 febbraio del 1942, mentre tornava da Tripoli in licenza premio per vedere il figlio.
Giulio fu allevato dalla mamma e dalla nonna che, con molti sacrifici, riuscirono a fare studiare quel giovane volenteroso, consentendogli di frequentare il Ginnasio e il Liceo negli anni cinquanta.
Furono anni di formazione umana e relativa spensieratezza che rivivevano negli incontri con i compagni di liceo e col professore Eugenio Leone, quando si ritrovavano per un pranzo.
Dopo il terzo liceo si fece sentire più forte la vocazione sacerdotale. Frequentò il Seminario; fu diacono nella parrocchia di Gizzeria, e nel luglio del 1964, nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Feroleto, fu ordinato sacerdote.
Nel 1965 fu nominato vice-parroco e poi parroco nella chiesa di Sant’Andrea Apostolo di Conflenti, dove rimase fino al 1976, essendo contemporaneamente Rettore del Santuario diocesano di Visora a Conflenti.
All’inizio del suo ministero sacerdotale fu anche Assistente Ecclesiastico degli Scout a Nicastro, insegnante di religione nelle scuole superiori e docente nel Seminario minore diocesano.
Sarmu 139
Quando domane decìdu ‘e partire
cchjù lluntanu chi pùazzu mi nde vaju,
nduve ‘u sule m’arruste dde morire
e nduve vattu ‘i dianti ancora a mmaju.
Ma ‘nduve vaju, si puru ‘e nottate,
puru si dùarmu, ‘un-dd-àju cchjù ricìattu:
‘e puntine a lli dischi su’ mpuntate
e pparica mô fhanu ppe ddispìattu…
Ma nduve vaju, si muntagna e mmare,
vùascu, disertu… ‘u postu cchjù sperdutu,
me cùntano de Tia: ‘un cc’è cchi fare:
prigionieru de Tia sugnu nesciùtu!
L’8 dicembre del 1985 fu nominato parroco della parrocchia di Santa Maria Maggiore in Feroleto Antico e Rettore del Santuario di Dipodi, diventando pastore di anime in quel paesino dove era nato, e al quale rimase legato per tutta la vita.
Don Giulio, persona colta e di grande sensibilità, ironizzava sul proprio impegno letterario, che viveva più che altro come momento di meditazione e come forma alternativa di approfondimento di una religiosità poco dogmatica e molto vicina ai problemi della gente comune.
Da questo ozio letterariosono nate tre raccolte di liriche in dialetto feroletano tra il 1979 e il 1982: Rucciuli, Serratura dǒ tuttu, Pruverata a lla fhine.
I titoli evidenziano chiaramente la progressiva visione pessimistica della realtà: trucioli, segatura e infine polvere sono la metafora del percorso della vita umana, ma anche lo specchio della fine delle politiche sociali negli anni ottanta e novanta del secolo passato, quando anche l’Italia seguì il modello americano ed inglese del liberismo selvaggio, della retorica del successo individuale a scapito dei più deboli.
L’attenzione del poeta in un primo momento è rivolta all’osservazione dei tipi umani di una piccola comunità di paese, ma poi tende ad una più personale rappresentazione del reale: la vita quotidiana della gente comune diventa un cammino tortuoso che, metaforicamente, è come le strade che percorriamo nelle zone più interne della Calabria. Andare per una strada dritta è come pretendere di vedere chiaro nel buio della notte o ‘mpucire un ago in un pagliaio.
Una fatica senza sosta, che può far dire, anche a chi ha fede, che forse un giorno non ce la faremo più.