L’iniziativa in corso “Unire i riformisti” animata da varie personalità, associazioni e circoli, segnatamente da Marco Bentivogli, Emma Bonino, Giorgio Gori, Irene Tinagli, Ivan Scalfarotto, Claudio Martelli e Christian Rocca, è un evento così prezioso in Italia che va segnalato. Il presupposto è capire cosa significa in Italia nel 2021 dichiararsi riformisti. Infatti tutti i politici italiani da Meloni a Fratoianni ci giurerebbero di essere riformisti. Come ha segnalato Claudio Martelli il riformismo nella storia italiana è un pensiero e un movimento politico e culturale inequivocabilmente socialista che nasce e si afferma in opposizione al socialismo rivoluzionario. Se è vero che al riformismo dal basso dei socialisti corrispose all’inizio del ’900 il “riformismo dall’alto” del governo del liberale Giolitti non va dimenticato che un altro, diverso e autonomo riformismo dal basso fu quello animato dalle correnti più avanzate del cattolicesimo e dalla dottrina sociale della Chiesa, in particolare dall’originale lezione di don Luigi Sturzo. Anche a loro Giolitti tese la mano. Non a caso solo quarant’anni dopo il riformismo socialista e quello cattolico si incontrarono fornendo la loro esperienza alle migliori stagioni del primo centro sinistra.
Essendo gli italiani un popolo che non ha mai nulla da apprendere dalle esperienze altrui, è successo che neppure dopo la caduta del Muro i comunisti sono voluti diventare socialdemocratici e mai i cd liberali da Malagodi a Berlusconi si sono assimilati ai conservatori anglosassoni. Si pensi soltanto, lo ha ricordato Martelli, come fu Renzi a guidare il Partito democratico all’approdo nel Partito Socialista Europeo, approdo che sino a quel momento sia Prodi, sia Rutelli, sia Veltroni avevano respinto. Insomma, la stessa edificazione dello Stato Sociale nel XX° secolo – “il secolo socialdemocratico” secondo il liberale Dahrendorf – è frutto dell’azione del socialismo riformista spesso in alleanza coi liberali progressisti e sempre in guerra coi liberali conservatori.
Tra questi ultimi Margaret Thatcher e Ronald Reagan ci ricordano che un riformismo puramente ed esclusivamente liberale o non è mai esistito oppure ha connotato non un movimento progressista ma un movimento conservatore, re-azionario, restauratore dei principi e degli animal spirits del capitalismo.
Dopo questo excursus storico che spiega come in Italia i liberal-socialisti alla Carlo Rosselli e Guido Calogero o il partito d’Azione (PdA) sono rimasti sempre minoritari, schiacciati dai partiti di massa e dai piccoli partiti finanziati dalle lobby, intendo adesso soffermarmi brevemente sui “contenuti” del sistema liberale.
Vorrei richiamare quello che per me è uno dei più geniali intellettuali oggi nel mondo, Yuval Noah Harari (1976). Questo saggista e storico israeliano ha spiegato cosa sta succedendo. Sta succedendo che il sistema liberale viene considerato come una sorta di un buffet, con diverse pietanze, e ciascun Stato decide cosa prendere e cosa lasciare.
Le pietanze sono le seguenti:
1. Economia di mercato, privatizzazioni, poche tasse.
2. Elezioni libere, Stato di diritto, diritti delle minoranze.
3. Libertà di scelta, individualismo, diversità, uguaglianza dei sessi.
4. Libero scambio, integrazione mondiale, diritti di dogana bassi.
5. Relazioni pacifiche, cooperazione multilaterale, diritto internazionale, organizzazioni internazionali.
6. Facilità di spostamento per le persone e facilità di immigrazione.
Per capirci, tutto il mondo in teoria desidera delle relazioni internazionali pacifiche. All’inverso, la sola cosa che quasi nessuno vuole è l’immigrazione. E’ chiaro che il sistema liberale presuppone invece un menu fisso dove le sei pietanze siano presenti tutte e sei, ma stiamo assistendo ad un suo lento sgretolamento perchè ciascun Stato intende rinunciare a qualche pietanza (l’ungherese Orban vuole la democrazia ma senza diritti individuali; Trump voleva l’economia di mercato ma sabotando il libero scambio a livello mondiale; la Cina vuole la liberalizzazione economica ma non la liberalizzazione politica, e così via…) (“Benvenuti al buffet liberale” da Repubblica, pag. 26, 10/6/2019).
A queste sei pietanze vorrei aggiungere alcuni nostri ingredienti “tricolori” che nello scenario italiano sono davvero divisivi, molto molto di più della inconsistente vecchia distinzione tra destra e sinistra.
Essi sono:
7. Anti capitalisti e/o anti americani.
8. Filo palestinesi (vs filo israeliani).
9. Concorrenza (vs monopoli di Stato).
L’odio per l’America, per esempio, ha da sempre unito stragisti fascisti e brigatisti rossi. Pertanto, due individui in Italia possono dichiararsi entrambi riformisti ed europeisti, ma sono avversari se uno odia l’America e Israele, ama i palestinesi e l’industria di Stato, mentre l’altro preferisce l’America, Israele e la libera concorrenza. Tutti a parole sono favorevoli ad una “economia mista” ma in pratica ci sono gli “statalisti” convinti che il lavoro lo deve creare soprattutto lo Stato ed ogni azienda in crisi debba essere assorbita dallo Stato.
Una postilla per concludere. Se al contrario credete ancora alla distinzione destra-sinistra, tutto si fa molto più semplice. Il riformismo non c’entra nulla perchè in Italia la sinistra rappresenta i garantiti (dipendenti pubblici e pensionati) e la destra i non garantiti (partite iva e lavoratori autonomi), tutto qui. Solo che ormai sono tutti “partiti dei territori” (o delle regioni) e non ci sono più “partiti-nazione”. E tutti pretendono il welfare però senza voler abbattere l’evasione fiscale.