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IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA E’ L’ATTO PIU’ SIGNIFICATIVO DEL GOVERNO DRAGHI
Ridurre i divari, capacità di spesa e politica fiscale sono le sfide che ci attendono. I programmi ci richiedono di ripensare il modello PAESE, dando impulso alla pubblica amministrazione, al potenziamento delle strutture ospedaliere e della scuola pubblica. Senza dimenticare la riforma della giustizia e della burocrazia. Da non sottovalutare il ruolo del meridione nel nuovo processo di sviluppo: o ci si salva tutti insieme o i danni supereranno i benefici.

Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha illustrato il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che  le Camere hanno approvato a larghissima maggioranza.
Il Piano rappresenta l’atto più significativo del Governo Draghi, promosso dal Presidente della Repubblica in merito a due urgenze: uscire dall’emergenza sanitaria indotta dalla pandemia e procedere all’auspicata ripresa economica del Paese con il contributo dei fondi europei.
Il PNRR è un documento  di 168 pagine che, se si vuole, può essere letto nella sua integrità.
In questa sede basta prendere atto della struttura generale che individua i seguenti punti essenziali:
1. Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura.
2.
Rivoluzione verde e transizione ecologica.
3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile.
4. Istruzione e ricerca.
5. Inclusione e coesione.
6. Salute.
Gli investimenti sono pari a 191,5 miliardi di euro, finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza.  Ulteriori 30,6 miliardi sono parte di un Fondo complementare, finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile.  Il totale degli investimenti previsti è di 222,1 miliardi di euro da spendersi nell’arco di cinque anni. Non intendo discutere la ripartizione per singole voci che il Parlamento ha approvato così come è stata presentata dal governo; ciò che mi preme evidenziare in questa sede, invece, sono i punti che il Presidente Draghi ha sottolineato in Parlamento:
* La sfida sulla capacità di spendere il denaro che arriva dalla Ue.
* Il fatto che “una politica fiscale comune è a nostro beneficio, perché siamo uno dei Paesi più fragili in Europa e il nostro obiettivo con il piano è ridurre i divari che l’Ue chiede di superare”.
Anche se i leader di partito non lo dicono apertamente, le condizioni per accedere alle risorse del Piano sono indicate in modo rigido da Bruxelles e gli step di realizzazione del Piano saranno monitorati attentamente dalla Commissione Europea. Se non si provvede a una semplificazione dei passaggi burocratici previsti dalla normativa attuale, le somme disponibili non saranno spese come è già avvenuto in passato, e la ripresa avverrà con molta lentezza o non avverrà affatto.
I sei punti sintetici del programma sono tra loro collegati e richiedono di ripensare il modello Paese, dando serio impulso alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, al potenziamento delle strutture ospedaliere e dell’assistenza territoriale alle famiglie, al potenziamento della Scuola Pubblica con la digitalizzazione, la disponibilità di laboratori, la formazione dei docenti, l’assegnazione di fondi adeguati alla ricerca scientifica. E’ inoltre urgente la riforma della giustizia e della burocrazia.
La cosiddetta rivoluzione verde implica poi un cambiamento in tutta la filiera agroalimentare dalla produzione alla commercializzazione, come anche nel settore industriale e commerciale, per far fronte anche ai cambiamenti climatici. La difesa del territorio, la fine dell’enorme spreco nella distribuzione dell’acqua potabile, l’adeguamento alle necessità dei territori nello smaltimento degli scarichi fognari, il potenziamento degli impianti per lo smaltimento dei rifiuti; tutto ciò fa parte di quel circolo virtuoso che chiamiamo rivoluzione verde.  In questa auspicata rivoluzione due sono i punti che riguardano in particolare il Sud dell’Italia e la Calabria: la realizzazione di infrastrutture che da decenni sono totalmente insufficienti e non solo per colpa degli amministratori locali. Checché se ne dica, se le ferrovie e la viabilità  sono inadeguate soprattutto nelle tratte locali, se gli asili sono insufficienti e molte scuole non sono a norma, se la sanità ha mostrato tutti i suoi limiti, se gli investimenti nella produzione industriale non decollano, è anche perché nella ripartizione dei fondi pubblici si è privilegiato il Centro-Nord, come indirettamente si evince dalle parole del Ministro per il Sud e la coesione sociale Mara Carfagna e dal fatto che, in linea teorica, un 40% delle risorse sarebbe assegnato al Sud. Ci si sta accorgendo che un Meridione sottosviluppato è uno svantaggio anche per il Nord. E’ indispensabile l’adeguamento dell’autostrada Salerno-Reggio e della statale Ionica 106, che sono le due direttrici che collegano Sicilia e Calabria alla Puglia e alla Campania. Il ponte sullo Stretto, progettato da anni, sarebbe inutile senza i collegamenti veloci della Sicilia e della Calabria al resto d’Italia e di Europa.
Ripensare il modello di sviluppo significa cogliere la realtà meridionale nel contesto globale. Dobbiamo prendere atto che la supremazia produttiva e commerciale europea deve confrontarsi ormai con i grossi centri produttivi dell’estremo Oriente e della Cina, e che buona parte delle merci in provenienza da quei porti viaggia via mare lungo la rotta del Canale di Suez;  i porti e gli aeroporti del Sud sono per vocazione i più idonei al commercio marittimo e aereo proveniente dall’Oriente. Potenziare i porti di Gioia Tauro e Bari credo che sia la prima necessità per rilanciare l’economia del Sud, ma poi di conseguenza si devono avere ferrovie veloci e autostrade efficienti per consentire alle merci di raggiungere i centri del Nord Italia e dell’Europa continentale. La Sicilia e la Calabria sono un ponte naturale per gli spostamenti di persone e merci da e per l’Africa e il Medio Oriente. Non tenere conto di questo significa tagliare fuori il Meridione da ogni prospettiva di sviluppo e proseguire sulla politica finora privilegiata di guardare al nord dell’Europa a danno di Paesi come la Spagna, la Grecia e il Sud dell’Italia orientati storicamente verso i Paesi che s’affacciano sul Mediterraneo. Tutti questi bei propositi che guardano al futuro delle nuove generazioni possono facilmente trovare un ostacolo, purtroppo, negli antichi vizi clientelari dei partiti e nelle potenti lobby presenti in Italia e in Europa. Oltre ai progetti di cui tutti si riempiono la bocca, c’è l’altra faccia della medaglia, accennata da Draghi presentando il Piano, e prevista nella programmazione dal Presidente USA Biden in questi giorni: bisogna pensare che lo sforzo fatto dagli Stati occidentali per immettere la liquidità necessaria a far ripartire l’economia, facendo enormi debiti che graveranno sulle nuove generazioni, dovrà essere riequilibrato in un tempo ragionevole con maggiori entrate degli Stati. Bisognerà mettere comunque mano a una riforma che riporti equità nel prelievo fiscale con un serio impegno di recupero dell’elusione fiscale e dell’evasione totale, eliminando i “paradisi fiscali” di cui si avvalgono soprattutto le grandi multinazionali che, anche grazie alla pandemia, hanno visto crescere di molto i propri utili. Il problema non è solo italiano o europeo, riguarda tutti i Paesi.
In questo quadro una posizione di rilievo ha la formazione scolastica dei giovani calabresi: “nel Sud e nelle isole il 45,9% degli studenti giunti alla licenza media non arriva a livello ritenuto minimo nelle prove d’italiano e il 55,7% nelle prove di matematica, con punte che sfiorano il 60% in Calabria” (Rapporto Invalsi 2019). Una Regione che trascura la formazione dei giovani è destinata ad avere cittadini inconsapevoli dei problemi e poco idonei ad un inserimento nel mondo del lavoro che oggi richiede una formazione duttile e capace di adeguarsi ai rapidi cambiamenti in atto, evitando che sia incentivata la disponibilità al clientelismo e, nel caso peggiore, l’adesione alla delinquenza organizzata. L’appello del Papa alla solidarietà e all’equità nella distribuzione delle ricchezze non è solo un richiamo ai valori del Cristianesimo, è anche un richiamo alla realtà per i laici di tutti i Paesi: in un mondo globale o ci si salva insieme nel rispetto dell’ambiente e della giustizia sociale o ben presto i danni supereranno i benefici.