Nonostante la stima incondizionata che nutro verso Leporace (che non conosco) e Pasqualino (che conosco), il ritratto di Lamezia mi è sembrato stereotipato. Posso solo fornire a chi non l’ha letto, dell’intero articolo, tre piccoli esempi.
- Il cinema, il comune, Gianni Speranza e Doris Lo Moro. Oggi si vede il cinema a Lamezia grazie all’acquisizione fatta dal Comune nella gestione di Giannetto Speranza. La sua fu una giunta di rinnovamento, durata dieci anni dopo due scioglimenti per mafia. Un’esperienza raccontata nel libro “Una storia fuori dal comune” in cui si rievoca il suo governo da anatra zoppa, avversato dalle ‘ndrine che incendiarono il portone del Comune, dove si era appena insediato, per non far svolgere un consiglio comunale straordinario di protesta contro un attentato. Speranza fu emarginato dalla sinistra. Stessa sorte di Doris Lo Moro, ex magistrato, parlamentare e anche lei sindaco di rinnovamento dopo il primo scioglimento per mafia del Comune. Anche per lei un libro: «Racconto di un impegno».
Questo primo “passaggio” da una parte è comico (Oggi si vede il cinema a Lamezia grazie all’acquisizione fatta dal Comune nella gestione di Giannetto Speranza) perché il cinema si vede solo ai Due Mari e il teatro non ho ancora capito per quale motivo sia stato acquistato (ma sono io tardo di comprendonio), dall’altra è “retorico” perché ricordare a noi lametini e al mondo intero che Giannetto (così lo chiama Leporace) e Doris sono stati due buoni sindaci è retorico quanto ricordare ai romani i Petroselli o Veltroni: i ricordi servono a ben poco. Ma passo al secondo esempio.
- Vent’anni per scoprire una verità giudiziaria ancora parziale. Lamezia Terme è come un romanzo di Dumas. La Procura però sapeva il fatto suo con quel presidente, Gabriella Reillo, che era stato segnalato nel casting del Pd per scegliere la donna presidente. In Appello è emersa una nuova verità. I killer hanno preso trent’anni, erano loro, i Fruci indicati dal pentito e inchiodati dalla mamma di Panzarella. Il boss, presunto mandante dell’omicidio, è stato assolto. Non conosciamo ancora le motivazioni della sentenza.Sappiamo però che il movente dell’omicidio è stata la cava. L’avvocato è stato vittima di una vendetta trasversale. Torquato aveva avuto il solo torto di essere troppo bravo e poco attento alle insidie del territorio in cui operava come consigliori legale.
Lamezia è come un romanzo di Dumas? Ma quando mai. Io più modestamente ho scritto che è un film di Damiano Damiani (1922-2013), l’autore de Il giorno della civetta ma anche della prima stagione de La piovra. Personaggi come d’Artagnan e Edmond Dantès non credo di averli mai incontrati per le strade di Lamezia che è la tipica città sicilianizzata (assomiglia a Catania) dove il dominio mafioso è assoluto. La visione (e l’analisi) di una società sana ma oppressa, di una politica antagonista, altra, che lotta e resiste (come tanti emuli di Peppino Impastato) è ormai, nel 2021, pura retorica, politica che aspira a diventare mito e/o immaginario da romanzo d’appendice (in questo senso accetterei Dumas). Basta leggere il libro di Speranza per capirlo, l’ho definito struggente perché confessa in maniera crudele la solitudine di un sindaco che non vuole diventare uno strumento in mano ai pupari. Le “primavere” di rinnovamento che abbiamo avuto a Lamezia hanno espresso soltanto due sindaci “solitari”, a dispetto di una società che descriviamo sempre in termini molto lusinghieri. Se non riusciamo a capire che a Lamezia la politica, anche la migliore, gioca un suo ruolo marginale e periferico, mentre l’intero tessuto economico è controllato dalla ‘ndrangheta, ci sfugge la realtà: immaginiamo un ruolo salvifico, provvidenziale, del politico. Il fatto è che ancora s’insiste nell’EDULCORARLA questa realtà, per farcela piacere, immaginando che tra mafia e società sana vi siano i “collusi”, zone grigie. Semplicemente non c’è nessuno, ad ogni professionista o imprenditore o insegnante basta far l’esame del sangue, o stanno di qua o stanno di là. I collusi sono una categoria che a Lamezia non esiste, il tempo l’ha liquidata.
Il problema politico cruciale è un altro, lo Stato (contrapposto all’Antistato) piace a tutti, destra e sinistra, allo stesso modo. Come ha spiegato l’economista Domenico Cersosimo in un talk su Repubblica “l’affermazione che in Calabria lo Stato sia assente è totalmente falsa quando invece in Calabria lo Stato è l’unico attore presente perché non c’è il mercato”.
Basta enunciare questo termine, “mercato”, per provocare le ire contro il liberismo dei marxisti-leninisti ancora non andati in quiescenza. Eppure, dice Cersosimo, l’80% della vita dei calabresi dipende dallo Stato, in tutte le sue articolazioni, ma in prevalenza centrali. Si pensi alla spesa pensionistica, quasi 7,5 miliardi l’anno per 750mila pensionati. L’intera produzione agricola e manifatturiera calabrese sta sotto questa cifra. Le pensioni sono quasi 1/5 del Pil regionale che ammonta a 33 miliardi. Pertanto la classe dirigente calabrese, imprenditoriale e non, ha natura estrattiva, draga le risorse e ha una convenienza a mantenere lo status quo. Se l’80% del bilancio regionale riguarda la sanità, tutti capiamo perché il buco sanitario regionale è ancora imprecisato. Lo capite adesso perché il referendum del 2016 è stato bocciato?
Se questo è quanto, gli anticapitalisti che sparano contro il mercato e vogliono più Stato anche in Calabria (tutto secondo loro dovrebbe essere pubblico, dagli ospedali alle imprese, insomma l’Unione Sovietica di Lenin) sono gli stessi che, nel loro schema western (sceriffo buono VS cattivi) sono sempre alla ricerca del magistrato sceriffo di riferimento (il Gratteri o De Magistris di turno), che ai loro occhi diventa lo Stato (il Santo) al quale affidarsi. Gli allievi dei Violante, dei Davigo e Travaglio, amano uno Stato giustizialista dove la separazione dei poteri, principio giuridico fondamentale dello Stato di diritto e della democrazia liberale, non esista più (v. Palamara & C).
Cersosimo ha spiegato anche che le persone serie calabresi si guardano bene dall’impegnarsi in politica accontentandosi di far bene il proprio lavoro. A livello comunale infatti (basta vedere il numero dei comuni dissestati) arruoliamo sindaci umanisti parolai (e infatti passano il tempo a girare per convegni quotidiani portando il saluto), non in grado di capire un bilancio, di governare la macchina amministrativa, inconsapevoli, chesso, che a Bologna, storicamente una delle best practice nazionali in termini di governo del territorio, sono riusciti nel 2020 a trovare una ricetta da saltimbanchi scovando gli evasori delle tasse comunali usando il petrolio di questo secolo: l’uso qualitativo dei dati. Con un algoritmo predittivo che smaschera le anomalie, le segnala, le registra perché usa una piattaforma che integra le varie banche dati rendendole interoperabili (catasto, anagrafe della popolazione, atti notarili sulle successioni, la riscossione dei tributi, il database dell’Agenzia delle Entrate sui contratti di locazione, l’anagrafe delle imprese e quella tributaria). Equità fiscale, riassunto nel mantra: «Pagare meno, pagare tutti».
- Quello di Torquato fu un nuovo omicidio eccellente a Lamezia. A dieci anni prima risale quello del sovrintendente Aversa e della moglie. Con i suoi tragici e paradossali colpi di scena. Nel 1975 davanti l’uscio di casa avevano invece ucciso Francesco Ferlaino, avvocato dello Stato. Sono cadaveri eccellenti anche due incolpevoli spazzini ricordati in effige da un murales. La mafia di questa zona è diventata imprenditrice con i soldi di alcuni celebri rapimenti e con un traffico di droga di alto livello. Negli anni Ottanta avevano iniziato vendendo marijuana coltivata sul Reventino e nascosta sotto i poderi di campagna dei contadini. Poi sono passati all’eroina. Passeggiando nel centro di Lamezia vent’anni fa osservavo le insegne di oltre venti istituti bancari. I grandi gruppi arrivavano in massa per raccogliere denaro. Oggi il denaro sporco è immerso nella finanza globalizzata.
Anche questo ulteriore passaggio di Leporace mi lascia perplesso e tento di spiegare perché. A Torquato ho avuto modo di conoscerlo abbastanza bene all’università e quando ho saputo della sua scomparsa la prima cosa a cui ho pensato è stata questa: come è stato possibile se era intelligente, prudente e mai avrebbe fatto qualcosa di avventato tale da esporre lui e la sua famiglia ad un pericolo? O non ho capito nulla di lui oppure la realtà criminale lametina è molto più pericolosa, invasiva e terribile di come comunemente viene descritta. Tutte le vittime innocenti che abbiamo avuto, compreso Torquato e i due netturbini, dipendono da una generale sottovalutazione di un fenomeno mafioso che viene da lontano e, non so perché, è stato prima descritto come inesistente e “inventato” dalla sinistra e poi narrato come fronteggiabile da una società civile sana che si ribellava ed esprimeva sindaci nuovi. Invece no, anche a Lamezia tutto cambia perché tutto resti com’è, e tutti i benicomunisti che vorrebbero imprese di Stato, sussidi di Stato, acqua pubblica, salute pubblica, non hanno capito granché, di Lamezia e della Calabria.
Caro Leporace, venti anni per condannare (con i pentiti) gli assassini di Torquato? Ma se in venti anni lo Stato (con tutti i suoi sceriffi buoni) non è stato capace di fronteggiare i rom che stanno vicino l’ospedale! Lamezia sarà diversa quando ripristineremo il mercato, la concorrenza, quando una persona potrà aprire un negozio o un’attività liberamente senza essere parente di… Quando nessuno potrà impunemente permettersi di inquinare, derubare, spargere diossina in un territorio. A Lamezia abbiamo avuto l’abusivismo e poi l’inquinamento di necessità.
Una città ad incastro nata per intercessione di un Vescovo, senza alcuna Autorità statale credibile (i giornalisti perché non pubblicano l’elenco del turn over incessante di commissari e capitani e prefetti?), depredata dai politici catanzaresi invidiosi, alla quale hanno tolto tutto, dalla università alla sanità e all’aeroporto, si dovrebbe riscattare con un buon Sindaco? Ma un povero sindaco, cercatelo di capire, conta molto meno del Vescovo, del Procuratore della Repubblica e del capitano dei Carabinieri.