Il dramma di una regione angariata da politici opportunisti, oppressa dalla mafia ed asfissiata dalla massoneria; la pantomima dei governi, avvicendatisi nell’ultimo decennio, che attraverso il commissariamento pensavano di poter risolvere la crisi dell’unica fiorente fabbrica del sud, inesauribile fonte di cospicue fortune, elettorali e non, per pochi eletti; di malasanità, di dolore, di ingiustizie sociali, di disagi, di viaggi della speranza per circa due milioni di calabresi, da sempre, in balia di un destino avverso.
Potrei fare a meno di proseguire avendo già compendiato, nel sottotitolo di questa nota, cosa alberga nel mio animo e cosa mi frulla per il capo. E di più… senza inutili piaggerie richiamare alla mente quanto su questo argomento ho scritto sul finire dell’anno scorso e nei primi mesi di quello in corso.
Però la conclusione alla quale è giunta la Corte Costituzionale – nella sentenza depositata una settimana fa, bocciando “il commissariamento di facciata” adottato dal Governo a proposito della sanità calabrese, senza aver dotato il commissario ad acta di una struttura amministrativa all’altezza del delicato compito assegnatogli – è esattamente quanto questo web journal sosteneva, non motivandolo in punto di diritto, bensì per fatto e logica stringente.
Certamente non ci vuole la zingara per indovinare la ventura, dice la saggezza popolare, per cui la Consulta ha sottolineato che il commissario ad acta deve essere supportato da una struttura all’altezza del delicatissimo compitino da svolgere.
Che è, mi permetto di aggiungere, rendere efficiente e funzionale una rete sanitaria regionale sempre debole e sempre più compromessa da espressioni di natura clientelare, che fa registrare un disavanzo di due miliardi di euro accumulato nel corso degli anni, malgrado gli ultimi undici lunghi anni di commissariamento che hanno annientato quanto di buono restava in piedi.
E’ avvenuto infatti che il contenimento dei costi, tanto per giustificare la presenza e la solerzia commissariale, ha riguardato solamente il taglio di posti letto, la chiusura di nosocomi, o di reparti, lasciando addirittura “scoperti” interi territori e mandando ramengo la salute dei calabresi, subissati da interminabili liste di attesa per visite o interventi, da ticket e cancellazioni dalle liste di medicinali essenziali fino al paradosso che i balzelli gravanti su alcuni prodotti sono diventati superiori al costo degli stessi. Il tutto in regime di normalità, quindi ante Covid, al quale va il merito di aver messo in pietosa evidenza quanto labile ed evanescente sia la struttura sanitaria calabrese!
Mentre sperperi, sprechi, sciupio e disservizi, là erano e là sono.
Eppure il tavolo Adduce, organismo interministeriale preposto al controllo del piano di rientro regionale, in una delle sue ultime riunioni, esaminando le nostre croniche problematiche, ha elencato una lunga lista di inadempienze, rimaste tali ed ignorate sia dai commissari governativi, sia da quello che, molto presuntuosamente, si definisce Dipartimento Sanitario Regionale. Fino ad arrivare addirittura all’eterna conflittualità tra l’ente commissariale ed il dipartimento, motivo che ha provocato un avvicendamento dopo l’altro, ma anche scadimento totale “del servizio e di prestazione” all’utenza.
Forse per presa di coscienza o per coprirsi con la biblica foglia di fico o per chiamarsi fuori da ogni responsabilità, dopo l’undecennale flop commissariale il Governo ha accompagnato il decreto di nomina del prefetto Guido Longo, esautorando per la seconda volta la Regione Calabria dalla gestione sanitaria, però disponendo che sia la Cittadella a fornirgli un contingente di 25 unità. Cosa quest’ultima che ha sollevato le perplessità della Consulta che ha così sentenziato “l’azione di risanamento in cui lo Stato assume la responsabilità del garante di ultima istanza non può essere sostenuta dal solo commissario ad acta che andrebbe a confrontarsi con una amministrazione territoriale inadempiente sotto molteplici profili”.
Concetto che tradotto in parole povere significa: senza nulla togliere alle capacità gestionali ed amministrative del prefetto Longo, la vicenda sanitaria calabrese è talmente “grossa ed intricata” che va supportata con un adeguato innesto di personale esterno e altamente qualificato.
Obiettivo, questo, dal nostro giornale perseguito con tenacia avendo messo sempre in prima linea la competenza, la professionalità, la meritocrazia e non il clientelismo, le raccomandazioni, i concorsi a misura di candidato, le assunzioni di favore… senza naturalmente voler invadere il campo del giudice Gratteri che ha sempre sostenuto, a ben ragione, che la sanità ed i rifiuti costituiscono la zona grigia in cui politica, mafia e massoneria deviata vanno a braccetto.
E cade ancora a fagiolo il suggerimento della Consulta quando raccomanda l’innesto di personale altamente qualificato che certamente non ha mai albergato – prova ne è la miseranda condizione sanitaria – nei corridoi dai passi felpati del dipartimento sanitario regionale e delle dependance operanti nel comparto, se è vero come è vero che fino a “ieri” il dipartimento Tutela della Salute di noantri è stato appannaggio di Antonio Belcastro, passato alla storia per i topini della Fondazione Campanella, altro gioiello della corona, come ebbe a dichiarare a Report in una intervista di Nerazzini, o di Domenico Pallaria, soggetto attuatore per il coordinamento delle attività ante Covid , che sempre in altra intervista a Report ebbe a dichiarare (e poi a dimettersi) “non capisco nulla di ventilatori polmonari”.
Intanto il consiglio regionale, beffa crudele, ancora in carica per la prorogatio di legge, dopo le centinaia di assunzioni di portaborse ed autisti, meccanici e barman, parrucchieri e co.co.co, sfaccendati e faccendieri, con buona pace della legge regionale nr. 13 del 2002, continua la sua opera di fidelizzazione elettorale dando la stura ad altro pacchetto di mancette, prebende ed appannaggi distribuito agli influencer, termine elegante per indicare gregari e “collettori di consensi elettorali”.
L’intervento della Corte Costituzionale, riferito alla sola sanità, quindi boccia il commissariamento di facciata ed indica una soluzione certamente non facile: la sostituzione della struttura esistente con personale altamente qualificato. Cosa mai avvenuta, e difficile che avvenga, in quanto competenze, specificità, meritocrazia hanno dovuto cedere sempre il passo al becero clientelismo politico.
Dopo gli insuccessi registrati, in questo ultimo cinquantennio di pseudo regionalismo, che ha portato la Calabria in fondo ad un baratro dal quale è difficile risalire, è auspicabile applicare la stessa “cura” in tutti i dipartimenti che contano.
Diversamente, non resta che elevare salmi e preghiere a San Francesco di Paola, protettore della regione, sempre che non si sia dimesso… per l’impossibilità di far miracoli.